I conti in "rosso" della Moda
fanno tremare i tessili comaschi

L’onda di bilancia in perdita sta diventando uno tsunami e l’allarme sta prendendo le forme vere e proprie del panico. Con il rischio di mettere in ginocchio fornitori e la rete dei terzisti anche a Como. In più, nello scenario peggiore Sistema Moda Italia, ha già diffuso le stime di chiusura dell’anno per il settore moda-tessile: un produzione in calo del 19% e una crollo del fatturato a -20%.

Il primo allarme era piombato sul distretto con la crisi della It Holding: 300 milioni di inebitamento, almeno dieci di questi - ma la stima va oltre questa cifra - da versare ai maggiori gruppi tessili comaschi. Una vicenda che da sola era bastata per gettare sufficiente preoccupazione fra gli imprenditori comaschi. Ora quell’onda sta diventando uno tsunami e l’allarme sta prendendo le forme vere e proprie del panico. Con il rischio di mettere in ginocchio fornitori e la rete dei terzisti anche a Como. In più, nello scenario peggiore Sistema Moda Italia, ha già diffuso le stime di chiusura dell’anno per il settore moda-tessile: un produzione in calo del 19% e una crollo del fatturato a -20%.

Ora, alla vigilia delle sfilate di moda a Milano, l’unica certezza è che l’occhio alle passerelle verrà dato senza distogliere lo sguardo dai conti di chi sfila: saranno probabilmente proprio loro, i bilanci in rosso, a sfilare e ad avere la maggiore attenzione. Il crollo dello shopping, la riduzione delle fasce di clenti ricchi o ricchissimi nel mondo, unita a una politica di acquisizioni non sempre supportata con reali risorse finanziarie ha portato i conti degli stilisti, da Burani a Cavalli, da Valentino a Versace, ad arricchirsi ma solo di debiti. E oggi anche Como, il distretto storico delle imprese fornitrici delle griffe più importanti, trema. E non poco.

La crisi, in America e in Germania, ha ridotto a un lumicino i ricchi. Se en sono accorti, ovviamente, Domenico Dolce e Stefano Gabbana: «Montenapoleone è deserta e i negozi - hanno ammesso senza timore alcuno - sono vuoti: il calo degli afflussi è stato del 40% e la flessione delle vendite è del 20%». Cavalli rilancia: «A un certo punto le banche hanno chiuso i rubinetti e chi spendeva in modo sfrenato i suoi enormi e facili guadagni ha smesso di fare shopping di gioielli , orologi e abiti. Peccato che il nostro business si reggesse su quelli». Il problema? La moda è un settore in cui i prezzi vengono caricati anche del 400%, un abito che viene venduto a 10 dal produttore, in boutique viene venduto a 400, o anche più. Finché il mercato ha tenuto i clienti hanno pagato.

Insomma, il «Sole 24Ore», al termine di un’inchiesta approfondita sui bilanci delle maison più imporanti, ha messo in evidenza come le griffe soffrono, e come i conti sono andati in rosso. Sotto accusa, oltre alla forte contrazione dei consumi, le numerose acquisizioni fatte a debito, e che hanno poi costretto a vendere marchi e a perdere soldi. Emblema di questa tendenza è l’operazione Permira messa in atto da Valentino Fashion Group (che controlla Hugo Boss e Valentino): pagata 2,7 miliardi, un record nel mondo della moda, ha dovuto svalutare marchi e avviamenti per 498 milioni chiudendo con un deficit di 483 milioni, un quinto dell’intero giro d’affari (2,2 miliardi) e un utile di 29 milioni.

Da Prada la stessa resa di fronte ai conti. La pressione del debito lo ha costretto a riscadenzare circa 450 milioni di euro di debiti, 350 dei quali spostati a scadenza dal luglio del 2010 allo stesso mese del 2012. E, naturalmente, per la terza volta è stato accantonato il progetto del debutto in Borsa. Mariella Burani Fashion ha il fiato pesantissimo delle banche sul collo. A fine giugno - secondo la ricostruzione nei dati il Sole24Ore - l’indebitamento era di 478 milioni. Gli ultimi sei mesi, da gennaio a giugno 2009, hanno registrato perdite a 142 milioni. Armani resta un po’ una sorta di solista, un caso virtuoso: il motivo sta tutto nei suoi «soli» 43 milioni di debiti ma ben 370 milioni di liquidità netta in cassa. E ha chiuso il bilancio 2008 con una crescita dell’1,8%. Il motivo? Lo ha spiegato lui direttamente: «La segmentazione delle linee mi permette di rivolgermi a fasce sociali dal diverso potere d’acquisto: dal fast fashion all’haute couture».

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