Tessile, la moda punta su Como
Ma è allarme "fuga" degli ordini

Dalle sfilate di Milano arriva una decisa ventata di ottimismo per il distretto tessile di Como: stampati di ogni tipo, anche su materiali diversi dalla seta come plastica, filati di carbonio e neoprene. ma allo stesso modo gli imprenditore rilevano: da noi fanno le porve, poi la produzione la danno ad altri.

Stampati di ogni tipo, anche su materiali diversi dalla seta come plastica, filati di carbonio e neoprene. La moda della primavera-estate 2010, in onda questa settimana sulle passerelle femminili, è un tutt'uno sbocciar di corolle: micro, macro, grafiche o acquarellate. Di righe e maculati in audaci varianti di colore. Un trend forte, che apre spiragli di ripresa per il made in Como. «Sicuramente per le prime linee, le altre potrebbero imboccare altre strade» spiega chiara Mario Boselli, presidente della Camera nazionale della Moda, che oggi chiuderà ufficialmente i battenti della fashion week milanese. Ma, sono sempre stretti i rapporti tra stilisti e produttori italiani di tessuto? «Il vantaggio di continuare questa relazione è reciproco, per tener alto lo standard del prodotto. Che la qualità del tessile italiano sia indiscutibile è dimostrato dal fatto che anche i marchi stranieri vengono a comprare da noi le stoffe più ricche e pregiate». E «chiaramente tutto quello che è stampa e colore rimanda inevitabilmente alla cultura e al saper fare del distretto comasco - conferma Luigi Zoni della Tessitura Verga -. Il grosso punto interrogativo è se si venderà davvero nei negozi. Mi sembra che molte collezioni abbiano puntato più sull'impatto mediatico, senza pensare alle reali esigenze di consumo. Come buttato lì da qualcuno, si è esagerato con l'effetto escort, abiti pensati specialmente per sedurre. In passato, questi eccessi non hanno certo pagato». L'industriale comasco poi rincara la dose. «Quando gli stilisti si sono allontanati dal buon gusto e dal buon senso, la gente ha smesso di comprare e siamo entrati in crisi. C'è il rischio che anche questa stagione i produttori a monte facciano le spese per colpa di un edonismo fine a se stesso». E a proposito di ricerca, Zoni accetta di parlare senza reticenze di un fenomeno assai preoccupante. Pare che alcune griffe, nomi anche importanti della Moda, facciano prove su prove nei più grandi e strutturati gruppi della filiera serica, ma poi passino le commesse ai terzisti per tagliare i costi. Vero o non vero? «Verissimo - risponde l'imprenditore -. La Cina è a pochi passi dai nostri opifici. Nomi anche importanti della confezione ci fanno impazzire mesi con campioni, pezze tipo e prove colore. Al momento dell'ordine scrivono giusto qualche metro, il resto viene prodotto da tessitori e stampatori che lavorano a façon». Un malcostume deflagrato con la recessione. «Oggi si contano sulle dita quelli che che continuano a far ricerca - continua Zoni -. Andando avanti di questo passo, smetteremo tutti di investire». E per tutelarsi, l'imprenditore ha escogitato un deterrente. «I disegni di stampa e jacquard che escono dalle nostre fabbriche vengono registrati presso un notaio, il copywright messo sulla cimosa. In mancanza d'altro, cerchiamo di difenderci così dalla concorrenza sleale, da una grave mancanza di rispetto del lavoro altrui». Sul grande ritorno dell'imprimé ritorna anche Alessandro Tessuto. «Le premesse sono buone, ma i risultati arriveranno solo tra un mese, quando sarà finita la campagna vendite. Se davvero scoppiasse un altro boom di stampa, come negli anni Novanta, dovremo però attrezzarci, visto che sono sopravvissute solo una decina di stamperie». Anche Tessuto teme la fuga di ordini dei grandi marchi verso i terzisti. «Il mercato è diventato una jungla, non si guarda più in faccia nessuno. Mi vedo continuamente sfilare metri da gente che riceve i miei campioni da riprodurre. Una molteplicità di soggetti che non hanno un processo creativo e industriale alle spalle. Se la situazione continuerà ad aggravarsi, alla fine a farne le spese sarà l'intero sistema».

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