Scoppia la guerra degli archivi
fra la stilista Bini e la Mantero

Un duro scontro sull’uso degli archivi lasciati da Sergio Bini, nome di spicco dell’industria serica comasca tra gli anni ’60 e ’80. La figlia Stefania, stilista emergente, è scesa in guerra con la Mantero che nell’83 ha acquisito gran parte delle stampe realizzate dal geniale imprenditore in oltre vent’anni di stretta collaborazione con i più prestigiosi couturier internazionali.

Si profila un duro scontro sull’uso degli archivi lasciati da Sergio Bini, nome di spicco dell’industria serica comasca tra gli anni ’60 e ’80. La figlia Stefania, stilista emergente, è scesa in guerra con la Mantero che nell’83 ha acquisito gran parte delle stampe realizzate dal geniale imprenditore in oltre vent’anni di stretta collaborazione con i più prestigiosi couturier internazionali: da Karl Lagerfeld a Yves Saint Laurent, Dior, Lacroix,Versace, Armani e tanti altri entrati nell’Olimpo del fashion. La querelle è nata dopo che il gruppo ha negato alla Bini l’accesso a questo straordinario patrimonio, costituito da un centinaio di libri contenenti disegni, prove, referenze con varianti di colore. A poche ore dal secco no, la designer ha deciso di divulgare la vicenda. «Sono sorpresa e offesa da questo inspiegabile dietrofront - racconta -. Non mi era mai capitato di veder cancellato un appuntamento via sms, peraltro mai ricevuto. È quel che è successo un paio di giorni fa con un venditore della Mantero. Non essendo arrivato il messaggio, mi sono presentata puntualmente negli uffici di via Volta dove ho appreso che la persona in questione non poteva incontrarmi, perché assente». Affatto rassegnata, la Bini ha raggiunto telefonicamente il suo interlocutore. «Per un po’ ha “nicchiato”- riferisce -, ma poi messo alle strette mi ha fatto capire che l’incontro era saltato per decisione presa dall’alto». Ostinata, la stilista ha chiesto allora di poter parlare con la proprietà, che però si è negata. «In sostanza ho capito che non ero una cliente interessante per il gruppo - continua -. Non escludo che questo stop sia nato dal fatto che l’anno scorso mi era stato concesso di visionare e acquistare un paio di stampe, ma poi ci sono stati problemi nella realizzazione, tant’è vero che ho dovuto contestare parte dell’ordine. Pensavo che la questione si fosse risolta, ma evidentemente mi sbagliavo». E conclude. «Ammesso che la società non sia più interessata a produrre i miei tessuti per vari motivi, non ultimo i metraggi minimi, almeno mi venga data la possibilità di ricomprare parte di un’eredità familiare. Da lì sono partita e continuo a costruire le mie collezioni: con le stampe trovate tra le cose di mio padre. Il resto è finito in Mantero, quando chiusa la sua azienda, papà è andato a lavorare da loro come consulente. Non ho idea se il contratto prevedesse anche la cessione degli archivi». Comunque siano andate le cose, la designer rivendica l’utilizzo del prezioso patrimonio per continuare il suo lavoro. «A un anno dal debutto, i miei abiti sono esposti nelle più belle vetrine di Londra e di altre capitali dello shopping. Con fatica sto cercando di rilanciare un marchio storico del distretto, più che porte chiuse mi sarei aspettata un gesto di solidarietà e di amicizia». Interpellati sulla vicenda, i vertici di via Volta hanno risposto con un cortese quanto deciso «no comment».

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