La Uil: i cinesi sono a Como
troppe le aziende scorrette

L’accusa è forte, perché la realtà è diffusa. La denuncia è lanciata da Gioacchino Favara nel suo intervento di apertura del XIII congresso provinciale Uilta, il sindacato tessile della Uil. La denuncia punta il dito contro la clandestinità, la contraffazione, l’illegalità. Contro una mafiua cinese che si sta appropriando del territorio, e delle sue imprese».

«I cinesi in molti casi siamo noi, siamo noi comaschi. O almeno siamo noi quando consapevolmente scegliamo di utilizzare la manodopera asiatica a basso costo, o di ospitarla nei sottoscala di aziende del territorio». L’accusa è forte, perché la realtà è diffusa. La denuncia è lanciata da Gioacchino Favara nel suo intervento di apertura del XIII congresso provinciale Uilta, il sindacato tessile della Uil. La denuncia punta il dito contro la clandestinità, la contraffazione, l’illegalità. Contro una mafiua cinese che si sta appropriando del territorio, e delle sue imprese».

Tutte accuse che nel tessile coinvolgono direttamente Como. E gli esempi si sprecano. Li porta lo stesso Favara, riconfermato segretario provinciale Uilta: «Se dobbiamo produrre una cravatta, un foulard dal costo di 25 euro, di alta qualità, è più probabile che venga realizzato a Como che altrove, anche se questo non è effettivamente sempre scontato - spiega Favara -. Ma se quel foulard è destinato, invece, a una fascia di mercato più bassa, allora decisamente conviene di più rivolgersi alla Cina. Produrre a Como un accessorio dal costo di 5 euro, per un’azienda è insostenibile dal punto di vista economico. Ed è qui allora che subentrano i cinesi "comaschi"». Questo è il primo affondo di Favara. Prende il secondo foglio di appunti e, più pesante, ecco la seconda accusa: «Nel Comasco abbiamo un numero sempre più numeroso di aziende in clandestinità, con manodopera cinese che lavora nei sottoscala, nei garage - continua Favara -. Si parla spesso di realtà con a capo imprenditori italiani, con dipendenti sottopagati, senza contratto di lavoro, senza orari e in condizioni igieniche improponibili».

Un secondo canale «alternativo», quindi per la produzione tessile lariana, più economico e a cui non sarebbero pochi gli imprenditori che si rivolgono. «Gomorra non riguarda solo Napoli - sottolinea Favara -. C’è molta manodopera cinese che opera sul nostro territorio, senza protezione alcuna. E il vero problema è che questa illegalità si ripercuote sulle nostre aziende, soprattutto di Como e Cantù». E tornando alla cravatta da 25 euro prodotta in Italia dall’azienda e a quella da cinque prodotta chissà dove, non c’è il rischio di vedere vendere quella da 5 per quella da venticinque? «No, si tratta di prodotti di qualità diversa, è solo un’esigenza economica che porta ad avere questo articolo di fascia più bassa e che in effetti copre una quota di mercato reale. Semmai, quello che va contrastato è la concorrenza sleale sul territorio e il modo di produzione da parte cinese».

Il rischio poi, è che comunque quella cravatta da cinque o 25 euro arriverà sul mercato con l’etichetta «made in Italy». «Può essere così, anche se è complesso trovare le prove. Ecco perché serve la massima tracciabilità del prodotto». Un sistema di illegalità «parallelo», quindi, intorno al tessile comasco. Al quale si affianca un altro devastante capitolo: la contraffazione dei grandi marchi. Anche di questo male, secondo Favara, soffre Como: «Basta guardarsi in giro, dalle bancarelle ad alcuni negozi. Ci sono aziende che si sono specializzate nella falsificazione delle grandi firme. E questo ha creato un giro di economia sommersa e un fatturato al di fuori da ogni controllo fiscale: alla fine si sono arricchite numerose imprese anche comasche, e solo loro. Bisogna intensificare la lotta alla contraffazione - conclude Favara -, aumentare i controlli. E snidare le aziende illegali e scorrette, fuori da ogni controllo».

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