Accordo fiscale
sul lavoro di frontiera
manca solo la firma

Il 23 dicembre la possibile chiusura dell’intesa tra i due Stati sulla tassazione dei frontalieri. Consensi da Cisl e Ocst: «Nessuna modifica per gli attuali lavoratori». Le nuove norme in vigore dal 2023

Non solo l’intesa sulla nuova fiscalità dei frontalieri non slitterà al nuovo anno, ma ora c’è anche una possibile data per l’attesa firma tra i due Governi, quella di mercoledì 23 dicembre (tra cinque giorni, dunque, data in attesa di conferma), con il nuovo accordo fiscale tra Italia e Svizzera che dovrebbe poi entrare in vigore dal 1° gennaio 2023.

La lunga riunione serale tra il Governo (rappresentato dal viceministro dell’Economia, Antonio Misiani) e i sindacati ha riportato il sereno su alcune criticità su cui si era posto l’accento con vigore soprattutto nelle ultime settimane. Di fatto, sono state confermate le anticipazioni date domenica a “La Provincia” dal senatore varesino del Partito Democratico, Alessandro Alfieri (con lui i consiglieri Angelo Orsenigo e Samuele Astuti) e cioè che «gli attuali frontalieri non subiranno, attraverso una clausola di salvaguardia, alcun aggravio d’imposta fino alla pensione anche in caso di cambiamento del posto di lavoro».

Doppio binario

La seconda anticipazione sta nel fatto che «per i nuovi frontalieri e per gli attuali frontalieri fuori fascia (oltre i 20 chilometri) verrà prevista una no-tax area di 10 mila euro, migliorativa rispetto all’attuale franchigia di 7500 euro». Dei cosiddetti “vecchi” frontalieri (è evidente che la distinzione tra “vecchi” e “nuovi” frontalieri significa che il “doppio binario” che sta alla base del nuovo accordo fiscale risponde a tutti i principi di costituzionalità) faranno parte anche coloro che entreranno nel mondo del lavoro non solo nel 2021, ma anche nel 2022, cioè prima dell’entrata in vigore del nuovo accordo. Argomento quest’ultimo oggetto di lunghe trattative tra le delegazioni dei due Paesi e che ha interessato direttamente anche una seconda clausola di salvaguardia, quella per i frontalieri che hanno perso il lavoro nell’ultimo biennio.

«Siamo soddisfatti per l’intesa raggiunta con il Governo - sottolineano, in una nota, Andrea Puglia, responsabile frontalieri del sindacato Ocst e Mirko Dolzadelli, responsabile nazionale Cisl Frontalieri -. Si tratta di risultati molto importanti. Fondamentale è il fatto che il nuovo accordo non modifica l’attuale condizione dei lavoratori frontalieri, non si ripercuote sui salari e non va a intaccare il loro potere d’acquisto». «Nelle prossime ore - ha fatto poi sapere Andrea Puglia - proseguiranno le trattative con il Governo italiano. L’entrata in vigore effettiva? Il 1° gennaio 2023». Ma non è tutto, perché Governo e sindacati hanno chiarito anche alcuni importanti aspetti sui ristorni, fondamentali per i Comuni di confine, a partire dai più piccoli. L’ultimo assegno staccato dalla Svizzera nei confronti dell’Italia era pari a 94 milioni di franchi, 10 in più dell’anno precedente.

Questione ristorni

Un bel gruzzoletto dunque, su cui anche parte della politica ticinese (senza dimenticare Regione Lombardia) ha posato lo sguardo. A “La Provincia”, il senatore Alessandro Alfieri aveva spiegato che «qualora il numero di frontalieri dovesse aumentare in modo importante, la Svizzera ci chiederebbe di diminuire il numero di anni in cui sarebbe garantito l’attuale sistema dei ristorni». Da quindici, gli anni dovrebbero passare (è notizia di giovedì sera) a tredici, al termine dei quali toccherà poi al Governo italiano creare il filo diretto alla voce “ristorni” con i Comuni di confine. Con una postilla: a fronte dei due anni in meno di garanzia, verrebbe accettata la proposta relativa all’allargamento del numero dei vecchi frontalieri, includendo - come anticipato poc’anzi - i lavoratori impiegati anche nel 2021 e nel 2022.

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