Cashmere sostenibile: quel filo che lega Como ai pastori mongoli

L’accordo Entra nel vivo l’accordo di Francesco Saldarini con il sindacato degli allevatori (1.550 cooperative). Ieri la visita in azienda del ministro Federico D’Incà

C’è un imprenditore comasco nel motore del progetto che ha l’obiettivo di certificare l’origine e la lavorazione dei filati di cashmere che arrivano alle aziende europee che lo lavorano.

La visione

Il progetto si fonda sull’accordo che Francesco Saldarini, titolare di Saldarini 1892, ha contratto con il sindacato degli allevatori della Mongolia garantendo un prezzo equo - mediamente superiore del 10% al mercato - in cambio del rispetto di un disciplinare che punta a mantenere e valorizzare la tradizione dell’allevamento nomade. «Lo scopo – dice Francesco – è aiutare le cooperative locali a creare uno sbocco sul mercato del loro cashmere, allevato in maniera nomade secondo tradizioni millenarie, uno sbocco diretto, anziché distribuirlo attraverso i traders cinesi, come oggi accade per circa il 94% della produzione nazionale».

Anche il cashmere delle produzioni di alta gamma proviene infatti dall’Inner Mongolia, una regione cinese dove il prezioso filato si ricava dall’allevamento intensivo delle capre. L’interfaccia dell’imprenditore comasco è la National Federation of Pasture Users Group of herders, l’organizzazione sindacale che comprende 86mila nuclei familiari, cioè più di 1.550 cooperative di allevatori e rappresenta il 70% dei pastori mongoli.

Il modello è win-win, permetterà all’acquirente europeo di comprare direttamente in Mongolia la materia allo stesso prezzo che oggi paga ai traders cinesi (ma con garanzie di sostenibilità che oggi non ci sono) e ai pastori mongoli di ottenere un guadagno supplementare che per loro fa la differenza. Un paio di giorni fa è stata costituita la società che ha in capo le certificazioni alla base dell’operazione, sette in tutto. Il prossimo step, decisivo, si giocherà a livello europeo perché solo con il riconoscimento Ue sarà possibile avviare far valere le certificazioni a livello commerciale.

Un plus del progetto è la tecnologia. Attraverso la block-chain è stata predisposta la tracciabilità completa del materiale. In sostanza, basterà puntare la fotocamera dello smartphone sul QR Code riportato sull’etichetta associata al capo finito per risalire al singolo produttore con tanto di geolocalizzazione dell’allevamento. Il consumatore avrà così gli strumenti per risalire all’origine del filato di cui è fatto il maglioncino che sta per acquistare.

Un ulteriore plus del progetto sono le ricadute ambientali in Mongolia dove negli ultimi anni, a causa dell’aumento esponenziale dei capi allevati, è stato messo a dura prova un ecosistema di particolare fragilità. Gli stessi hanno ne hanno acquisito consapevolezza e del resto accanto alla crescita delle capre è aggiunto anche un drammatico cambiamento del clima negli ultimi 10-15 anni.

La via di uscita

Per Saldarini l’unica possibile via di uscita sè «pagare il giusto prezzo ai pastori per incentivarli a ridurre il numero delle greggi. E si può fare accorciando la catena di approvvigionamento del cashmere, mettendo in relazione diretta allevatori locali e aziende tessili occidentali.

Il progetto è stato presentato al ministro Federico D’Inca (rapporti con il parlamento) invitato nel capoluogo dal parlamentare comasco del Movimento 5Stelle Giovanni Currò.

«Seguo il progetto di Saldarini da diversi anni - dice Currò - l’imprenditore ha avuto il merito di combinare sostenibilità e innovazione tecnologica in un’iniziativa che tutela gli allevatori, i trasformatori e anche i consumatori. Sono certo che il governo nazionale farà ciò che gli compete per sostenere questa iniziativa».

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