Economia
Mercoledì 28 Gennaio 2009
Crisi, gli economisti al Forum di Davos
"Gli stimoli non bastano per il rilancio"
Dal Forum di Davos, tradizionale appuntamento di economisti e governatori per fare il punto della situazione sull'economia mondiale, è arrivata la prima sentenza: gli incentivi non bastano finché il mercato è farcito di titoli finanziari tossici.
Servono invece politiche coordinate e soprattutto è necessario prima fare «pulizia» degli asset tossici che le banche ancora possiedono, trovando un meccanismo per dare loro un «prezzo»: una operazione chiarezza che propone da Davos l'economista Steven Roach di Morgan Stanley ma che subito rimbalza anche sulla «collega» e consulente di Barak Obama, Laura Tyson.
La prima affollatissima sessione del World Economic Forum, che da sempre prepara il terreno per i successivi dibattiti, è dedicata alla crisi economica. Come tradizione schiera un gruppo di economisti provenienti dai diversi Paesi. Sul tappeto dovrebbero esserci previsioni ma, invece, il confronto si sposta invece sulle nuove regole, sulla cooperazione. Così è proprio l'assenza di dibattito «previsionale» a dare la misura dell'incertezza che attanaglia l'economia mondiale.
L'unico a fornire qualche stima è Steven Roach, economista di Morgan Stanley. «Nel 2009 - dice - sarà la prima volta dal '45 che l'economia mondiale si contrae. Per vedere tassi di crescita del 5% bisognerà attendere 3-4 anni. Il prossimo anno la crescita credo si attesterà al 2,5%, ma molti Paesi saranno in recessione». Ma nessuno sembra concordare con lui. «La stima è troppo ottimistica», gli risponde l'economista giapponese Heizo Takenada direttore del Global Security Research Institut della Keio University.
I panelist sono però tutti d'accordo sul fatto che gli stimoli fiscali saranno importanti ma non sono sufficienti. Lo dice Justuf Yifu Lin, capo economista della World Bank. «Serve il consenso su una azione coordinata, tra tutti i Paesi, che sposti le risorse da quelli industrializzati a quelli che lo sono meno». «Non dico no agli stimoli fiscali - afferma Takenada - ma non bisogna poggiare solo su questo, perchè viviamo in un mercato aperto». Il rischio è quello di risposte protezionistiche da parte dei singoli paesi. Un esempio? Takenada parla degli Usa. «Se ci saranno gli aiuti all'auto, alle big 3 (Gm, Ford, Chrysler. Ndr) allora significa che gli Usa stanno facendo protezionismo». Per Takenada gli occhi sono puntati sul pacchetto di stimoli fiscali che gli Usa si accingono a varare. «Questi stimoli fiscali e monetari - sostiene Roach - non basteranno a far uscire gli Usa dalla crisi. La disoccupazione continuerà a salire e i consumi resteranno asfittici. Obama punta ad un massiccio piano di stimoli ma non riuscirà a far rimbalzare l'economia Usa».
Per combattere quella che viene definita una «crescita anemica» viene così messa sul tavolo la necessità che ci siano nuove regole. L'economista turco Ferit Sahenk spiega che il Fondo Monetario Internazionale può essere un «poliziotto» dei mercati ma deve risolvere i suoi problemi di rappresentatività. E poi, anche per gli altri strumenti di sorveglianza internazionali, è necessario introdurre poteri sanzionatori: «I watchdog (cani da guardia) del mercato - afferma Roach - possono parlare tra di loro ma non possono mordere. Questo non ha portato risultati».
Ma prima di tutto bisogna fare piazza pulita delle azioni tossiche che ancora sono nel portafoglio delle banche. «La prima casa da fare è quella di concordare e mettere a punto, a livello multilaterale, un meccanismo per dare un prezzo agli asset tossici. Questo andrebbe fatto». Una operazione di trasparenza che consentirebbe di fare pulizia e chiarezza, sulla quale anche gli altri economisti presenti hanno concordato. Lo dice anche l'economista Laura Tyson, che era consulente di Clinton prima e di Obama ora, che partecipa ad un altro dibattito. «Il prossimo passo - afferma - ed è molto semplice, è quello togliere gli asset tossici che colpiscono duramente i bilanci e ricapitalizzare le banche con regole diverse in modo che possano tornare alla loro attività di credito».
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