Frontalieri privilegiati?
Il ministro svizzero attacca

Ignazio Cassis ce l’ha in particolare con la Lega: «Con il nuovo patto 400 milioni in più allo Stato italiano ma alla fine si imporrà la volontà di tutelare i frontalieri»

Forse per uscire dall’angolo, cui - suo malgrado - lo hanno costretto le taglienti dichiarazioni del presidente del Governo di Bellinzona Claudio Zali o forse per evitare che il suo partito - il Prl - perda ulteriore terreno in Canton Ticino (e di conseguenza le possibilità di accaparrarsi il secondo ministro a Palazzo delle Orsoline), il ministro degli esteri Ignazio Cassis è entrato a gamba tesa sul tira e molla sul nuovo accordo fiscale tra Svizzera e Italia. E così, a margine del Forum di Davos, conversando con il quotidiano “La Stampa”, il ministro (nato in Ticino) non ha certo usato giri di parole, facendo uno strappo al proverbiale aplomb.

La questione politica

Secondo Ignazio Cassis il no all’accordo fiscale da parte italiana ha una motivazione ben precisa: «Il Governo italiano non vuole scontentare gli elettori del Nord Italia che vivono nelle zone di frontiera». Chiaro - in particolare - il riferimento alla Lega, componente forte al nord del Governo giallo-verde. E’ la prima volta, almeno negli ultimi anni, che un esponente “di punta” della Confederazione chiama in causa direttamente i colleghi del Belpaese. D’altronde, come anticipato poc’anzi, in Canton Ticino ad aprile si vota e il Plr - che nelle ultime ore ha presentato una mozione per disdire l’accordo del ’74, scatenando la vibrante reazione della Lega dei Ticinesi - non vuole arrivare impreparato all’appuntamento clou dell’anno e degli anni a venire.

Insomma, è l’Italia a «voler far saltare il patto sui frontalieri» e, in questo contesto a dir poco nebuloso, si spiegano le dichiarazioni del ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi, che il 14 gennaio ha lasciato la Collina d’Oro di Lugano prendendo altri due mesi di tempo prima di dare una risposta definitiva - proprio ad Ignazio Cassis - sul nuovo accordo fiscale.

A precisa domanda e cioè sul fatto che «i frontalieri godono di un trattamento fiscale privilegiato», il ministro degli Esteri svizzero ha risposto «che i frontalieri sono 65 mila, il 95% lavora in Ticino. La loro imposizione è retta da un accordo del ’74: pagano un’aliquota che va dall’8 al 12%. Parte di questa imposta - il 38% - viene versata al Governo italiano che la gira ai Comuni di residenza». Questo 38% o meglio 38,8% altro non è che il meccanismo dei ristorni, fondamentali per Comuni e realtà di confine.

Il meccanismo

E tanto per gettare un sasso abbastanza grosso nello stagno, Ignazio Cassis ha spiegato a “La Stampa” che «con il nuovo accordo ci sarebbero maggiori costi per i lavoratori e un doppio guadagno per lo Stato italiano. Roma avrebbe entrate più ricche per 300-400 milioni di euro ed eliminerebbe le disparità di trattamento tra i suoi contribuenti». Tanto per rendere un’idea relativa ai nuovi scenari, Ignazio Cassis ha portato l’esempio del «Signor Bianchi che lavora a Lugano che (con il nuovo accordo, ndr) pagherebbe le tasse come il vicino di casa impiegato nel Varesotto» o nel Comasco, aggiungiamo. Dunque di fatto - nel nome del consenso - l’Italia sarebbe in procinto di dire no a 300-400 milioni di (nuove) entrate, anche se a domanda diretta Ignazio Cassis ha elegantemente glissato.

Non poteva mancare anche un riferimento alla crisi infinita di Campione d’Italia: «Il Governo italiano ha stanziato nella manovra risorse per pagare i debiti. Li aspettiamo. E poi c’è il problema di come andare avanti».

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