Camere di commercio
Attesa per domani
la risposta del ministro

Il casoOcchi puntati sulla decisione di Carlo Calenda

Pulsoni, commissario ad acta: possiamo solo aspettare

Intanto però la giunta di Lecco si riunisce per il bilancio

Sono i giorni della grande attesa, con gli occhi puntati sul ministro Carlo Calenda che deve comunicare cosa intenda fare sulla vicenda Camera di commercio. Dopo lo stop calato dalla Corte Costituzionale all’aggregazione (nel nostro caso, quella di Lecco e Como), l’esponente del Governo dovrà prendere una decisione. Un intervento per sciogliere il nodo (serve l’intesa con la Conferenza Stato Regioni) o la scelta di demandare tutto al prossimo esecutivo.

I prossimi giorni

Un’attesa confermata anche da Rossella Pulsoni, segretario generale dell’ente camerale lecchese e soprattutto commissario “ad acta” per la fusione tra Como e Lecco. Si era già mossa e il 29 dicembre era la scadenza indicata per far partire le operazioni di raccolta dati tra le associazioni delle due province.

Doveva, ma sarebbe meglio usare il presente, in virtù proprio di una fase in cui tutto è avvolto in una nebbia di incertezza. Bocce ferme e il disagio legato alle incombenti riunioni dei due consigli camerali prima di Natale. Vero che ciascuno doveva già tracciare il proprio bilancio, non essendo ancora avvenuta la fusione. Ma altrettanto evidente è che nel fare i conti si buttava pure lo sguardo avanti: ora la foschia rende tutto più difficile. «Come commissari ad acta - conferma Rossella Pulsoni - attendiamo indicazioni dal ministero perché a questo rispondiamo nella nostra funzione». Non si può fare nient’altro che aspettare. Con la speranza che il dicastero si esprima celermente, magari già domani.

Ce n’è bisogno, urgentemente. Sarà Lecco la prima Camera a riunire giunta e consiglio per il bilancio, domani. Quindi toccherà a Como, che procederà per l’appuntamento di fine anno mercoledì 20 novembre.

L’indignazione è alta nella sede comasca. Dove si era spinto sul matrimonio con i lecchesi in modo netto e anche da più tempo, non riuscendo ad avere in una prima fase un sì entusiastico. O meglio un sì e basta. Perché quando quest’ultimo era arrivato, comunque non era bastato a far sparire il ricordo di qualche resistenza dall’altra parte.

Ipotesi e ombre

Tuttavia, in questi mesi - Calenda ha firmato il decreto lo scorso 8 agosto - si è lavorato insieme alacremente per arrivare al risultato di un’aggregazione fruttuosa e soprattutto armoniosa. Ci si stava riuscendo.

La sentenza della Consulta resa nota pochi giorni fa non è stata una sorpresa per tutti, ma non per questo ha suscitato meno rabbia.

A partire dal presidente comasco Ambrogio Taborelli, che ha dichiarato di sentirsi preso in giro. E la medesima amarezza è stata espressa dal collega lecchese Daniele Riva.

Nel caso in cui il ministro Calenda decida di rimandare il tutto a dopo elezioni o in cui comunque i tempi dovessero allungarsi, si potrebbe intraprendere l’aggregazione volontaria. Bisognerebbe partire però da una nuova procedura e vedere se - senza l’obbligo imposto dalla riforma - anche tutti i lecchesi la sposerebbero.

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