«Le imprese puntano sui giovani
Anche la politica lo faccia»

La relazione del presidente di Unindustria Francesco Verga: dal futuro alla burocrazia, passando per un cielo con meno tinte fosche

Ecco la relazione completa letta dal presidente di Unindustria Francesco Verga ieri a Cernobbio per l’assemblea.

Presidente Maroni, Presidente Squinzi,

Autorità, Amici,

quella di oggi è un’Assemblea storica.

Oggi celebriamo la prima Assemblea Pubblica di Unindustria Como.

Un nome nuovo come simbolo dell’integrazione fra due Associazioni, API Como e Confindustria Como, nelle quali gli imprenditori hanno compreso, per primi in Lombardia, l’importanza di mettersi insieme.

Lo hanno fatto guardando al futuro, con l’obiettivo di consegnare agli imprenditori di domani un’Associazione strutturata, forte di 1.000 aziende associate e circa 50.000 addetti, con l’intento di rappresentare con sempre più incisività le esigenze e le aspirazioni di coloro che con coraggio, lungimiranza e, forse, un po’ di incoscienza, sono convinti che nel nostro Paese si possa ancora fare impresa e soprattutto impresa manifatturiera.

Per fortuna e nonostante tutto questi incoscienti sono tanti.

Noi vogliamo sostenerli con un’associazione che sia l’Associazione di tutti gli imprenditori, senza distinzione alcuna.

Desidero, quindi, chiamare sul palco per un saluto colui che, fin dall’inizio, ha creduto in questo nostro percorso di aggregazione.

Colui che ha lavorato insieme al suo Consiglio Direttivo per portarlo avanti e per arrivare a questo momento nel quale possiamo vedere gli imprenditori della nostra provincia tutti uniti.

Chiamo a salire sul palco Tiberio Tettamanti, già Presidente di API Como e ora Vice Presidente Vicario di Unindustria Como.

IL FUTURO

Per un’Assemblea che consideriamo importante non potevamo che scegliere un tema importante che vogliamo approfondire con i nostri relatori.

È il tema che vedete sui nostri schermi, declinato in formula aritmetica:

GIOVANI +

IMPRESE =

FUTURO

Ma guardandola bene, questa è molto più che una semplice addizione.

È una scommessa. Una scommessa che vogliamo e dobbiamo vincere, giocandola in prima persona.

Perché il futuro, il nostro futuro, il futuro di chi verrà dopo di noi, in primis i nostri figli, è troppo importante per lasciarlo ad altri.

Per vincere questa scommessa crediamo si debba puntare su quelli che reputiamo essere due dei cardini fondamentali del nostro Paese, appunto i giovani e le imprese.

Solo così possiamo pensare di costruire un futuro di prosperità fondata sul lavoro e sulla coesione sociale.

La sensazione, anzi la certezza, è che nel nostro Paese fino ad oggi di giovani e di imprese si faccia un gran parlare soprattutto nei dibattiti politici ma non si passi dalle parole ai fatti.

Invece, giovani ed imprese debbono prepotentemente essere messi al centro dell’agenda di ogni livello di governo.

GIOVANI E IMPRESE

Perché i giovani e le imprese?

A dispetto di quanto affermano molti, noi restiamo convinti che questo Paese trovi ancora la sua linfa vitale nell’industria.

Un’industria manifatturiera creatrice di ricchezza, capace di trainare il settore terziario che dipende strutturalmente da essa e senza la quale non avrebbe lungo respiro.

Per cui stimolare la crescita dell’industria significa stimolare la crescita dell’intera economia italiana.

Ma non si tratta più dell’industria di stampo fordista, bensì di un’industria moderna ed evoluta dove il ruolo fondamentale è quello del capitale umano.

Si tratta di un’impresa che si rivolge ai mercati internazionali con creatività, che è in grado di competere con chiunque sul piano della qualità e dell’innovazione continua.

Un’impresa di cui l’Italia non può assolutamente fare a meno.

Perché è evidente che essa crea sviluppo e ricchezza non solo per sé stessa ed i propri collaboratori ma anche a vantaggio del territorio in cui è insediata.

La manifattura è essenziale per mantenere la capacità innovativa di prodotto e di processo che, sola, può garantire lo sviluppo industriale nel medio – lungo termine di un paese.

Per questo ci chiediamo perché iniziative come quella dei giorni scorsi in Canton Ticino – Benvenuta impresa a Chiasso – non avvengano anche in Italia.

Perché non vediamo Sindaci e amministrazioni locali fare a gara per richiamare le aziende?

Perché, al contrario, sono numerosi i casi nei quali le imprese sono costrette a spostarsi di decine, a volte centinaia, di chilometri per trovare un Comune che permetta loro di ampliarsi e di lavorare?

Perché abbiamo funzionari pubblici che cavillano su norme e regolamenti comportando così tempi di risposta assurdi e fuori dalla realtà?

Abbiamo bisogno di una semplificazione che sia a vantaggio delle imprese e non solo della Pubblica Amministrazione.

Non si possono gravare le imprese di procedure complesse e macchinose. L’azienda, entro determinati confini, deve essere lasciata libera di agire. E il metodo più semplice è quello delle autocertificazioni che, naturalmente, successivamente dovranno essere oggetto di rigorosi controlli da parte della pubblica amministrazione.

Inoltre serve un sistema dove i diversi attori economici facciano la loro parte.

Per esempio è indispensabile che le banche tornino a fare le banche, sostenendo le imprese nei loro progetti di sviluppo e superando le logiche di valutazione strettamente legate al rating rispetto alla valutazione di progetti interessanti.

Ancora, è fondamentale che i costi dell’energia scendano ai livelli degli altri Paesi almeno Europei. Come può un imprenditore italiano pensare di competere ad armi pari con il resto del mondo se si trova costi fissi molto più alti dei suoi diretti concorrenti?

Mi sono ripromesso di evitare il solito lungo elenco di lamentazioni, anche perché i problemi sono ben conosciuti, ma non riesco ad evitare di citare un esempio di inaccettabile vessazione burocratica che grava come un macigno sulle nostre imprese.

Il Sistri

Dopo tre anni di proroghe i problemi non sono stati risolti e, dal primo ottobre, ha preso avvio il sistema di tracciabilità dei rifiuti più controverso, mal funzionante, poco chiaro, della storia delle normative italiane. Un sistema molto più restrittivo rispetto agli altri Paesi Comunitari. Naturalmente Confindustria ha evidenziato fin da subito questi problemi negli ultimi tre anni. Volete sapere la risposta del Ministro dell’Ambiente Orlando? Pur prendendo atto delle criticità evidenziate ha affermato che: “dopo aver esplorato tutte le alternative, e non avendo alcuna possibilità di risolvere il contratto che impegna la Pubblica Amministrazione con la società di fornitura dei supporti informatici, abbiamo assunto la decisione di evitare l’ennesimo rinvio”.

C’è da rimanere sconcertati.

Infine serve capitale umano qualificato e motivato.

In questo momento storico complesso per la nostra economia, l’imprenditore che vuole uscire dalla crisi, infatti, è necessariamente alla ricerca di menti fresche, di conoscenza, di contaminazioni culturali che solo i giovani possono apportare.

E noi, a nostra volta, abbiamo una grande responsabilità: entusiasmare di nuovo i giovani al lavoro, al nostro lavoro.

Il messaggio che vogliamo dare loro è che l’industria è un luogo sano, umano, dove si può crescere professionalmente e umanamente, dove vengono coltivati i talenti.

Dobbiamo far capire loro che non devono avere paura delle idee. Devono trovare il coraggio di proporle, consci che potrebbero venire meglio focalizzate da chi ha più esperienza e meno creatività.

Purtroppo nel nostro Paese ci scontriamo con una realtà complessa.

Vi sono delle emergenze da risolvere che non sono più rinviabili.

LE EMERGENZE

La prima e più evidente emergenza è rappresentata dalla disoccupazione giovanile.

Secondo gli ultimi dati Eurostat diffusi in questi giorni il tasso di disoccupazione dei giovani tra i 15 e i 24 anni in Italia è arrivato in agosto al 40,1% contro il 7,7% della Germania.

Ma quali sono le ragioni di queste differenze? Vediamole nel dettaglio.

L’ORIENTAMENTO

La prima e più importante è l’orientamento.

Scelte formative sbagliate provocano costi sociali ed economici molto elevati. Perché ostacolano l’incontro tra domanda e offerta di lavoro.

Le aziende cercano tecnici specializzati e sul mercato trovano tanti giovani con una preparazione troppo distante rispetto alle esigenze del contesto imprenditoriale.

Quindi, diventa indispensabile indirizzare alle famiglie messaggi corretti attraverso una forte attività coordinata di orientamento che parta fin dalle scuole medie inferiori.

Un’attività che potrebbe anche avere l’obiettivo di diminuire il tasso di abbandono scolastico che, ancora registra nel nostro Paese il valore di 16,8%. Troppo alto.

Unindustria Como su questo tema è sensibile da tempo e insiste affinché gli sforzi in questo senso aumentino.

Oltre, infatti, a sostenere fattivamente il Tavolo Provinciale per l’Orientamento, a collaborare con altre associazioni ai progetti “Orientamento in movimento” e “Partire da vicino per arrivare lontano”, ad aver contributo sensibilmente alla Fondazione Setificio, da 5 anni svolge un’importante attività di orientamento con il supporto di una psicologa che incontra ed orienta le famiglie dei giovani studenti delle scuole medie inferiori in procinto di compiere scelte fondamentali per la loro vita futura.

Il servizio è molto apprezzato ed efficiente. Ma da solo non basta.

Apprezziamo però il recente bando regionale che tende a incentivare proprio l’attività di orientamento e cercheremo di coglierne l’opportunità.

IL RAPPORTO SCUOLA - IMPRESA

L’altra grande ragione di questa difficoltà, se vogliamo connessa alla prima, è il rapporto tra le imprese e la filiera della formazione.

Qui viene fuori tutta la differenza tra Italia e Germania che spiega quell’impietosa classifica.

Mentre da noi gli stage avvengono su base sostanzialmente volontaristica, senza un supporto didattico e con controlli superficiali, il sistema della formazione tedesco che abbiamo voluto considerare come benchmark è fondato su un preciso imperativo: imparare facendo.

Non è per un complesso di inferiorità che guardiamo alla Germania, ma per una dignitosa necessità di correggere il nostro sistema laddove questo si riveli inefficace.

Nei Länder tedeschi si attua con successo il cosiddetto sistema duale dell’alternanza, nel quale l’apprendistato prevede due luoghi distinti deputati al trasferimento delle competenze: la Scuola Professionale e l’azienda.

Infatti, l’apprendimento e l’acquisizione delle competenze professionali avvengono in larga parte non a scuola, ma sul luogo di produzione ovvero in azienda, in uno studio professionale, negli uffici pubblici, nei laboratori artigianali e in speciali Centri di Formazione frequentati per 3 - 4 giorni alla settimana.

I contenuti teorici vengono, invece, erogati prevalentemente presso le Scuole Professionali, che il giovane è tenuto a frequentare part-time per 1 - 2 giorni alla settimana.

Pensate che questo sistema offre circa 360 qualifiche riconosciute che vengono annualmente implementate attraverso nuovi ordinamenti e prepara il 44,2% dei giovani che provengono dalla formazione di base.

Non pretendiamo, naturalmente, di trasferire in blocco ed in tempi brevi il sistema tedesco in Italia, ma sicuramente possiamo cercare di avvicinarci ad esso attraverso sperimentazioni come hanno fatto queste nostre due aziende.

Da queste esperienze, come del resto dalla prima sperimentazione in Italia che sta avvenendo a Bolzano, credo si possano trarre elementi utili per arricchire il provvedimento del Ministro Carrozza in discussione proprio in questi giorni alla Camera dei Deputati. Anche perché, pur apprezzando lo sforzo del Ministro che con il suo Decreto Legge ha voluto potenziare l’orientamento, va detto che nel complesso il provvedimento è ancora troppo debole. Confindustria lo ha detto nell’audizione dinanzi alla Commissione Cultura della Camera: serve un piano di rilancio dell’istruzione tecnica e professionale. L’unica novità presente nel decreto è il ripristino dell’ora di geografia economica nel biennio degli istituti tecnici. E’ chiaro che bisogna andare oltre: rafforzare la didattica laboratoriale e far decollare i Poli tecnico – professionali. Insomma vorremmo che il decreto rafforzi il rapporto tra impresa e scuola.

Un rapporto sul quale Unindustria Como lavora da tempo, considerandolo prioritario. Sul fronte degli istituti tecnici, per esempio, oltre allo stretto legame con la Magistri Cumacini che abbiamo sentito nel video, la nostra Associazione sostiene il Setificio, la Scuola Grafici e, insieme a Federlegno e a Confindustria Monza Brianza, il neonato Polo Formativo Legnoarredo, un centro di crescita in cui i ragazzi impareranno i mestieri del settore, tanto richiesti in questo momento dalle aziende.

Non solo. Abbiamo anche aperto i nostri orizzonti all’estero, consapevoli che la formazione non possa essere costretta nei ristretti confini nazionali.

Da un lato, infatti, abbiamo aperto un canale interessante con gli enti di certificazione delle competenze della vicina Confederazione Elvetica, con il Canton Ticino in particolare, e dall’altro, con il progetto comON, abbiamo puntato ad attrarre a Como i migliori talenti dalle più prestigiose scuole di design. Quest’anno sono 25, che per un mese e mezzo vivono un’esperienza unica all’interno delle più importanti aziende tessili della nostra provincia. Unindustria Como lo sostiene da 6 anni e continuerà a farlo.

Ma comprenderete che nemmeno bellissimi progetti come comON e altri nati su base locale e volontaristica possono colmare quel gap tra scuola e impresa che pone il nostro Paese nelle ultime posizioni della classifica europea.

Servono provvedimenti legislativi, interventi almeno di portata regionale, per rendere un po’ più duale la formazione dei nostri giovani, inserendo gli stage nei programmi didattici.

Sappiamo che la Regione Lombardia da tempo sta lavorando all’introduzione di una vera alternanza Scuola – Lavoro nell’ambito della formazione professionale, per cui plaudiamo ad ogni provvedimento in tal senso e offriamo il nostro contributo e la nostra collaborazione.

COMPETITIVITÀ E ATTRATTIVITÀ

Un’altra emergenza strutturale del nostro Paese è quella della incapacità di attrarre talenti, capitali e investimenti.

Imposizione fiscale eccessiva, incertezza delle norme, complessità burocratiche, lungaggine della magistratura civile – l’Italia è al 160° posto della classifica sui tempi per la risoluzione delle controversie civili e commerciali su 185 Paesi monitorati, la Germania è al 5° posto (Fonte: World Bank 2013) – ci fanno perdere competitività e allontanano investimenti esteri e quelle “menti fresche” e creative alle quali accennavo all’inizio.

I più recenti indici di competitività delle regioni europee vedono la Lombardia al 128° posto in Europa mentre la Germania conta ben 19 regioni nelle prime 50 posizioni.

D’altronde la competizione europea e mondiale ormai si gioca tra territori. E viene vinta non tanto da chi è in grado di trattenere i propri studenti – ai quali non farebbe male girare il mondo – quanto da chi è in grado di attrarne di nuovi ed eccellenti. Da chi riesce a rendere interessante fare industria in un certo luogo.

La proposta della zona franca a burocrazia zero che il Tavolo della Competitività sta portando avanti a Como, grazie all’impegno diretto del Presidente Maroni, va sicuramente nella direzione giusta ma la consideriamo un primo passo.

LA CONGIUNTURA

Avrei voluto iniziare questo capitolo con un’espressione ormai obbligata: nonostante tutto.

Sì, perché nonostante il quadro appena tracciato, nonostante le posizioni nelle classifiche europee, secondo i dati in nostro possesso il quadro economico italiano non presenta più le fosche tinte a cui ci eravamo abituati.

All’interno del Paese la fiducia tra le famiglie e le imprese di quasi tutti i settori ha registrato significativi incrementi. C’è una ripartenza della domanda testimoniata dalla diminuzione delle scorte di beni finiti e l’indice anticipatore OCSE pronostica un’accelerazione in autunno e una buona ripartenza nel 2014.

Il PIL italiano dovrebbe arrivare a segnare +0,7% nel 2014 grazie anche ad una forte ripartenza dell’export - secondo il Centro Studi di Confindustria che ci ha fornito i dati aggiornati, le esportazioni italiane di beni e servizi aumenteranno, in volume, del’1,4% nel 2013 e del 2,9% nel 2014 – e ad una inversione di tendenza della domanda di lavoro da parte delle imprese che dovrebbe ricominciare a crescere dalla prossima primavera.

Nel citare questi dati sono ben conscio che la situazione di molte aziende, in particolare le piccole e legate alla domanda interna, sia ancora complessa.

Se chiedessi di alzare la mano in questa sala a quanti stanno ancora soffrendo sono certo che ne dovremmo contare molte.

So che c’è ancora necessità di sostegno, di ammortizzatori sociali e di interventi strutturali, ma, lo dicevo all’inizio, dobbiamo guardare al futuro.

Se verranno garantiti stabilità politica e provvedimenti non vessatori nei confronti delle imprese, il timido segnale di ripresa che in questo momento interessa le medio – grandi aziende e quelle esportatrici potrebbe positivamente influenzare il resto dell’economia con un effetto volano capace di stimolare tutti i settori produttivi.

A proposito di stabilità. Una crisi di Governo in questo momento sarebbe stata una follia che avrebbe vanificato i sacrifici fatti in questi anni da cittadini e imprese. Inoltre avrebbe impedito l’approvazione delle misure indispensabili per la ripresa, che da tempo Confindustria ha indicato al Governo, per le quali auspichiamo una rapida approvazione.

A questo proposito un ringraziamento particolare va al nostro Presidente, Giorgio Squinzi, per il lavoro di pungolo costante verso la politica e le istituzioni che sta portando avanti da vero passista quale è, grazie ancora.

Non serve ricordarle tutte, ma sicuramente tra le misure più urgenti vi sono il taglio del cuneo fiscale e contributivo, gli incentivi per assumere i giovani, le misure di finanza agevolata per far ripartire gli investimenti, il rifinanziamento degli ammortizatori in deroga e il contenimento della spesa pubblica. Ancora, le 50 proposte per attrarre investimenti contenute nel piano “Destinazione Italia” approvato dal Consiglio dei Ministri lo scorso 19 settembre.

Insomma, a prescindere dalle valutazioni politiche dalle quali ci asteniamo, noi votiamo per la stabilità, ma stabilità operosa per imboccare la strada della fiducia e della ripresa.

IL FUTURO

Quanto abbiamo visto finora è il presente. Ma proviamo a fare un esperimento, chiudendo gli occhi per un momento, e immaginiamo il futuro come lo vorremmo. Facciamolo da imprenditori, capaci di trasformare i sogni in realtà.

Con realismo, naturalmente, perché sappiamo bene che nessuno ha la bacchetta magica per cui dobbiamo pensare a più interventi, alla nostra portata, che passo passo potrebbero contribuire ad invertire la rotta.

Non aspettiamo qualcuno che prometta di salvare il Sistema – Paese.

Non gli crederemmo più.

Crediamo che ognuno nel proprio ambito possa fare qualcosa che, unito a quanto faranno altri, apporti effetti positivi contagiando tutto il sistema.

Siamo convinti che oltre ad una serie di provvedimenti legislativi sui temi citati nella mia relazione, l’alternanza scuola – lavoro, la semplificazione, e tante altre manovre per rilanciare l’economia, si debba ripartire dal territorio.

L’obiettivo dev’essere quello di aumentarne l’attrattività – stimolando l’arrivo di capitali, iniziative e cervelli - che si traduce immediatamente in un aumento di competitività per coloro che in esso vi operano già.

Ma c’è bisogno dell’impegno di tutti.

La forma potrebbe essere quella di un patto territoriale che metta in relazione le singole eccellenze e opportunità nell’ambito lavorativo, formativo, dell’accoglienza e culturale.

Penso ad un accordo che preveda – come in una sorta di contratto – un impegno preciso per tutte le parti. Con vantaggi, naturalmente, diffusi.

Partiamo dalle imprese. Le nostre imprese hanno bisogno di giovani talenti e si rendono disponibili a coinvolgerli nella propria organizzazione ma, in questo periodo, non hanno risorse a disposizione.

Sperimentiamo allora il cosiddetto “Patto Generazionale” che stanno provando anche altre realtà. Il meccanismo non è complesso. Prevede un bonus per l’azienda che offra un contratto di lavoro di apprendistato a giovani al di sotto dei 26 anni, garantendo parallelamente il posto di lavoro ai collaboratori senior disponibili a ridurre il proprio orario di lavoro.

Nel patto territoriale dovrebbero essere coinvolte anche le scuole superiori le quali, nell’ambito della loro autonomia didattica e in attesa di provvedimenti di livello ministeriale, potrebbero realizzare, in collaborazione con aziende ed associazioni d’impresa, piani di studio nei quali inserire stage obbligatori con un significativo numero di ore e con la supervisione di docenti e imprenditori.

Anche alle istituzioni locali e regionali chiediamo un impegno da inserire in questo accordo.

Abbiamo bisogno della loro collaborazione al fine di rendere sempre più attrattivo il territorio ed il primo impegno concreto, approfittando della presenza del nostro Governatore Roberto Maroni, lo chiediamo per il campus universitario.

La presenza di infrastrutture sportive, auditorium, residenze, verde, in un luogo, San Martino, che si presta perfettamente allo scopo, renderebbe la nostra città un approdo naturale per studenti di tutto il mondo.

I quali poi, trovando un contesto economico pronto ad impiegarli, potrebbero decidere di fermarsi, contribuendo ad innalzare il livello culturale ed economico grazie all’indispensabile contaminazione che da sempre ha fatto progredire i popoli che uscivano dall’isolamento.

E’ chiaro che il contenitore, pur bello ed accogliente che sia, da solo non basta.

Se vogliamo avere un’università d’eccellenza, un’università diamante – come afferma il sociologo Mauro Magatti con un riuscito quanto provocatorio paragone –, l’offerta accademica deve privilegiare quelle discipline che presentino maggiore integrazione con le imprese del territorio.

Non deve puntare tanto ai numeri, evitando inutili massificazioni con conseguente eccesso di offerta, quanto ad offrire corsi originali, magari più orientati alla ricerca scientifica e tecnologica che sappiamo essere quella che porta maggiori benefici alle imprese.

Pensiamo, per esempio, ai Fraunhofer tedeschi, studiati persino dal Presidente Obama per valutare la possibilità di replicarli negli Stati Uniti.

E’ chiaro che anche il sistema dell’accoglienza locale dovrebbe fare la sua parte, così come le reti infrastrutturali – penso alla mobilità (abbiamo una stazione ferroviaria fatiscente), al collegamento veloce tra le provincie di Varese, Como e Lecco, alle infrastrutture digitali, ecc. – che dovrebbero essere potenziate.

Sono tante le cose da fare ma non sono impossibili se tutti hanno il medesimo obiettivo.

Da parte nostra, come imprenditori, ci permettiamo di proporre un obiettivo ambizioso.

Dare una risposta al problema della disoccupazione giovanile.

Prima ho citato il dato nazionale che, secondo l’Istat, è il 40%.

Se lo guardiamo dal punto di vista numerico, escludendo naturalmente tutti i giovani che studiano, il dato reale è di circa 600.000 in tutto il Paese che, calato sulla Provincia di Como, si attesta tra i 1000 e 2000 giovani.

Non è un numero così impossibile.

Penso alla nostra Associazione forte oggi di 1000 aziende.

Se fosse attivato un meccanismo simile a quello del “Patto Generazionale” potremmo pensare, senza eccessi di ottimismo, che mediamente ogni azienda, la quale al suo interno ha sicuramente figure di lavoratori che si avvicinano alla pensione, potrebbe assumere un giovane.

Pensate, 1000 giovani per 1000 aziende.

La disoccupazione giovanile a Como, se non azzerata, verrebbe di molto ridimensionata.

D’altronde, è arrivato il momento di agire.

E se il Presidente Maroni condivide concretamente questa proposta, che poi potrebbe essere esportata anche in altre provincie della Regione Lombardia, potremmo farcela.

Presidente, scommettiamo insieme sui giovani.

Ci aiuti a trovare le risorse per attivare il “Patto Generazionale” a Como perché non possiamo più stare a guardare.

Dobbiamo intervenire, in prima persona, tutti insieme.

Grazie.

FRANCESCO VERGA

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