Lo chef lariano si sfoga
«Perché comprare
il lucioperca in Estonia?»

La proposta di Tiziano Valentini de “La Cucina della Marianna” è quella di creare un consorzio che raggruppi i piccoli produttori: «Manca una filiera commerciale per i prodotti locali»

«Senza una filiera commerciale territoriale al servizio dei ristoranti e della ristorazione, la cucina comasca rischia di andare in forte affanno. Qui sono mancate negli anni le istituzioni. Abbiamo uno straordinario sottobosco di microproduttori che potrebbero essere riuniti in uno o più Consorzi e che invece, non per colpa loro, si fermano a pochi clienti selezionati». Il ragionamento di Tiziano Valentini, chef e patron del ristorante “La Cucina della Marianna” di Griante-Cadenabbia - noto per essere stato tra i protagonisti della trasmissione Sky “4 Ristoranti” griffata Alessandro Borghese - parte da qui.

L’invito

«Il mio è un invito alle istituzioni (il primo riferimento diretto è Regione Lombardia, ndr) affinché possa essere fornito il supporto per creare una struttura che sul territorio garantisca una filiera del “made in Como”. Perché acquistare il lucioperca dall’Estonia se grazie ai nostri pescatori potremmo tranquillamente averlo nelle nostre cucine? A me è capitato anche di dover acquistare da un fornitore, con tutte le certificazioni, un po’ di cinghiale per dei crostini a tema, scoprendo che il cinghiale in oggetto, buono e garantito, proveniva dal Texas - osserva Valentini -. Il pesce lo acquisto da un pescatore bravo e preparato, ma è chiaro che se il mercato vuole il lavarello (peraltro in forte calo), non si possono spendere, se non in minima parte, tempo ed energie per altri pesci a mio giudizio nobili - cito il luccio - che popolano il nostro lago. Porto questo esempio: in Sicilia con un’acciuga è stata pensata una miriade di piatti diversi. Qui si va sul sicuro. E spesso alla cucina territoriale si preferisce quella nazionale e internazionale. Avere in carta gli spaghetti allo scoglio sul Lario, dove di scogli - mi sia concessa una battuta - ce n’è uno solo a Bellagio, non è sempre è una scelta condivisibile. Sin qui le istituzioni hanno lavorato a spot. Ricordo un bellissimo convegno al Cfp di Como con ospite il maestro Gualtiero Marchesi. La sua fu un’elegia del pesce d’acqua dolce ed ad un’obiezione di uno chef - “Se metto in carta il pesce di lago e il branzino, tre clienti su quattro scelgono il branzino” -, Gualtiero Marchesi rispose: “Togli dalla carta il branzino”. Questa deve essere la filosofia di una cucina che a “La Cucina della Marianna” definiamo non democratica».

Coraggio e creatività

L’invito alle istituzioni è forte perché il lago - «che non arriva a 10 piatti della tradizione locale» - in questa pandemia sta scoprendo quanto la cucina possa essere importante per fidelizzare i clienti. «Ogni piatto deve avere una propria identità ed una sua storia. Ad Alba sul tartufo si è creato un mito che resiste alle mode ed ai tempi - osserva ancora Tiziano Valentini -. Difficilmente però vedremo un pullman di buongustai che da Milano, come fa per il tartufo di Alba, sale sul lago per gustare il missoltino, pesce che io definisco - vista la sua storia - “un inno alla fame”. In molti si sono fermati alla polenta e missoltino, mentre - lo dico con molta modestia - bisognerebbe guardare oltre magari pensando ad un missoltino rivisitato o meglio reinventato nel pieno rispetto della sua storia meravigliosa. Il nostro lago, lo dico senza presunzione, avrebbe diritto a una gastronomia un po’ più intelligente. La base è costituita da una ricchezza d’ingredienti notevole, che andrebbero valorizzati al meglio. Perché se a Carlazzo si può trovare una farina buonissima e delicata, bisogna andare a cercarla in in Trentino? Oggi la cucina lariana è spesso più un modo di cuocere che di cucinare e questo non va bene».

© RIPRODUZIONE RISERVATA