Prendiamo i delitti degli ultimi tempi, casi clamorosi, da Pavia a Perugia ad Avetrana a una lunga fila d'altri. Le soluzioni sono date per prossime, anzi in qualche caso le si indica come acquisite, e poi diventano prossime venture, e subito dopo future prossime. Le verità scappano via sul carro delle antiverità: contraddizioni e smentite, controprove e ripensamenti, imputati che diventano testimoni, testimoni che potrebbero diventare imputati. E non succede solo da noi, qui, in questo Paese ad attendibilità limitata. Succede anche altrove. Succede dovunque. Guardate che cos'è capitato a Strauss-Khan, galera e un milione di dollari di cauzione per uscirne, accusato di stupro da una cameriera che ora dice: no, non era uno stupro. Ma tutti hanno letto, sentito, visto (nel senso di visto sui tiggì) ch'era proprio uno stupro. E Strauss-Khan ha dovuto lasciare il posto dove lavorava, mica un posto qualunque. Come altri obbligati a fare lo stesso prima di lui, gente qualunque. Condannata da qualunque mezzo d'informazione.
E' un po' come se vivessimo in un limbo. Il limbo abolito dalla Chiesa cattolica viene adottato dalle cronache secolari. Una zona grigia, uno spazio transitorio di nessuna certezza, un'ovatta dove tutto si perde e dove naturalmente non vince (a volte dà l'impressione di vincere, ma è solo un'impressione) la verità. E la verità trascina nella sconfitta le convinzioni che si son fatti lettori, teleutenti, internauti. I presunti colpevoli hanno ormai un volto, gli eventuali innocenti anche. E' difficile, talvolta impossibile, modificare nell'immaginario popolare ciò che lo spettacolare protagonismo della giustizia e la famelica aggressività giornalistica han fissato con colori indelebili. Siamo prigionieri di questa cromatica affabulazione della vita: neppure Vulcano, il dio del fuoco che piegava i metalli, sarebbe capace di fondere la lega delle opinioni mediaticamente indotte.
Chissà se è davvero esistita un'epoca in cui a un delitto corrispondeva un castigo. Un delitto accertato, un castigo inevitabile. Di sicuro non esiste adesso: molti delitti d'incerta mano, nessun castigo di non opinabile severità. Ma forse non può che andar così, nel tempo delle inquietudini, delle indifferenze, dei particolarismi. Del relativismo, appunto. Il relativismo paragonabile a un foulard che non riesci ad accollarti nella maniera giusta, provi ad afferrarne i vaporosi lembi e ti sfuggono, tenti d'annodartelo e fallisci. Come la verità: cerchi di stringerne i nodi, e ti si sciolgono tra le mani. E la verità vola via, proprio al modo dei foulard in un pomeriggio di brezza (è sufficiente la brezza, non è necessario il vento) sulle acque increspate d'un lago.
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