Come sempre accade in questi frangenti, ognuno degli interlocutori politici interviene tirando la coperta dalla sua parte - vale a dire dalla parte dell'elettorato o della corrente di riferimento - concentrandosi a tal punto sul proprio interesse di parte da perdere di vista l'interesse del Paese. In queste condizioni, si profila non la vittoria di questo o quello schieramento, ma la sconfitta collettiva, che nella fattispecie potrebbe tradursi in un risanamento dei conti ottenuto strangolando di fatto ogni reale possibilità di crescita economica del sistema, con la fatale conseguenza che i conti stessi sarebbero inevitabilmente destinati a un nuovo peggioramento e richiederebbero a breve una nuova manovra, in una inarrestabile spirale perversa.
Il rischio di far scattare questa autentica trappola dovrebbe essere attentamente considerato da quanti si apprestano a salire sulle barricate, almeno metaforiche, per impedire alcuni dei tagli - sacrosanti e, secondo alcuni, anche inferiori al bisogno reale - che la manovra prevede.
Ridimensionare i tagli (ad esempio quelli sugli enti locali) significa - posto che si riesca a dimostrarne nel merito l'utilità - reperire altrove risorse in entrata, in altre parole cercare di riempire la botte bucata non turandone i buchi, ma aumentando l'acqua che ci si versa. La strada da percorrere, in realtà, dovrebbe essere esattamente l'opposta. Tanto più che di acqua disponibile da versare nella botte, cioè di contribuenti da spremere, siamo ormai a corto, visto il livello di pressione fiscale al quale gli italiani sono sottoposti. E che certo non rimane inalterato chiamando ipocritamente "contributo di solidarietà" il prospettato aumento delle tasse. Il discorso è esattamente lo stesso a proposito del sistema pensionistico, e in particolare dell'età pensionabile.
Anche tralasciando i casi estremi delle bidelle in pensione a meno di trent'anni o quello ancora più clamoroso di ex magistrati, come Di Pietro, in pensione dalla magistratura a 44 anni, non si può ignorare o tollerare in eterno che solo il 30 per cento degli italiani fra 55 e 65 anni d'età lavori ancora, contro il 45 per cento dei tedeschi. Naturalmente le pensioni non sono una specie di salvadanaio nel quale affondare le mani ogni volta che si profila un problema di mancanza di risorse, ma rifiutare a priori di esaminare una qualche possibilità di anticipare l'innalzamento già previsto dell'età pensionabile non appare ragionevole. Così come non può essere definito ragionevole l'escludere comunque la possibilità di un ritocco dell'Iva, che resterebbe un aumento della pressione fiscale, ma almeno indiretta, e cioè con effetti probabilmente meno dannosi del "contributo di solidarietà" in termini di depressione di consumi interni già asfittici. Si tratta di opzioni che andrebbero considerate nel merito, sotto il profilo dell'interesse generale e non di qualche vantaggio tattico nella guerra per il potere.
Antonio Marino
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