Ci coglierebbe addirittura il sospetto che la classe (altro che casta) politica, improvvidamente accusata d'ogni e peggiore rozzezza, s'affidi perfino ai ricordi letterari per il suo comportamento. Perché infatti non intravedere, nel macerante prodigarsi al servizio del bene pubblico, un riflesso di quanto nientepopodimenoché il Manzoni scrisse a suo tempo: è men male agitarsi nel dubbio, che il riposar nell'errore?
E non importa che lo scrisse nel saggio d'appendice ai Promessi Sposi intitolato "La storia della colonna infame", ciò che autorizzerebbe corrosivi sarcasmi in danno dell'onorabilità degli attuali (e dei pregressi) governanti. Importa che i governanti stanno dimostrando di non avere paura del coraggio, e se vi sono sbagli da correggere, eccoli lì pronti a emendarli. In conclusione: saremmo fieri, e più che fieri, di trovarci in mani così sicure. Di dipendere da menti così fervide d'idee.
Saremmo. Ma fatichiamo ad esserlo. Anzi, non lo siamo proprio. E, a proposito di letteratura, la memoria corre (purtroppo corre) ad altri di profilo storico inferiore al Manzoni e tuttavia di non minore attendibilità nell'interpretazione del costume nazionale.
Corre a Flaiano, tra le cui sculture linguistiche è compresa quella che scolpisce l'Italia raffigurandola patria del certo, del certissimo, anzi del probabile. Proprio come la manovra di Tremonti: definita ineludibile, indilazionabile, indiscutibile. E poi: condizionabile, modificabile, aggirabile. E infine: così labile da essere rovesciabile. Difatti non si sa ancora chi resterà col cerino tra le dita: i futuri pensionati, i titolari delle partite Iva, i detentori dei grandi patrimoni, i percettori di redditi soggetti al contributo di solidarietà, le Province, i comuni, gli enti della boscaglia del sottopotere, altri e diversi poltronifici?
Se fossimo fiduciosi verso la classe (giammai casta) politica, la riterremmo capace d'una manovra seria, e ne accetteremmo il dettaglio personalmente sgradito nella convinzione che l'insieme delle decisioni gioverà all'interesse nazionale.
Ma la classe politica (ancora e tenacemente casta) s'è sfiduciata da sé facendo il contrario di ciò che avrebbe dovuto: è manovriera contro la manovra. Lo è in omaggio alle convenienze della bottega elettorale, non in obbligo alle esigenze del Paese. E distribuisce fragilità nel momento in cui dovrebbe trasmettere messaggi di forza. E delude le aspettative popolari verso la certezza, qualsivoglia certezza. E curiosamente somiglia, in ciascun suo componente, al rospo d'un proverbio orientale che misurava la vastità del cielo sulla base del bordo d'un pozzo dov'era precipitato.
Ecco, confessiamo (con mestizia confessiamo) che ci pare d'essere affidati alla vista, purtroppo ristretta, d'un simile rospo. Così caduto in basso, così povero d'orizzonte, così difficile da ingoiare.
Max Lodi
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