Como dopo cinque anni
merita una risposta

Sono passati quasi cinque anni e ancora non sappiamo la verità sull'amianto in Ticosa. La cerimonia per l'avvio della demolizione, enfatizzata dai fuochi d'artificio, avrebbe dovuto inaugurare il 27 gennaio 2007 la gloriosa cavalcata dell'amministrazione Bruni. Il progetto si annunciava di portata storica e, in teoria, avrebbe dovuto consegnare alle pagine più buie della città decenni di abbandono.
Un nuovo quartiere collegato con il centro, autosili, un parco urbano, l'interramento di via Grandi e chi più ne ha più ne metta. Sappiamo tutti come è andata a finire. Del nuovo quartiere nemmeno l'ombra, Multi si è defilata, i 14 e rotti milioni sono stati sistematicamente messi e tolti dal bilancio per anni e la bonifica del sottosuolo - se tutto va bene - dovrebbe scattare a giorni. Possiamo anche farci una ragione del fatto che la gloriosa operazione sia stata un fallimento politico totale, però sulla pelle della gente non si scherza. E invece? Chi osò chiedere chiarimenti sulle modalità di bonifica, demolizione e smaltimento si sentì dare del rompiscatole. Quando poi rimbalzò da Milano la conferma dell'allarme amianto la reazione fu a dir poco rabbiosa. Chi provò a scriverne si sentì dare, alternativamente, del terrorista e del visionario. Le ripetute richieste di controlli finirono nel cestino e ci si attivò solo due mesi più tardi, quando la centralina Arpa di viale Cattaneo (era il 28 marzo 2007) registrò un valore assolutamente anomalo di fibre di amianto per litro, pari a 0,41.
Il dato fece schizzare alle stelle la media di Como, che salì a 0,079, il doppio di Pavia e Milano e addirittura 6 volte Bergamo. Il controllo, tutto sommato di routine (era inserito nel piano regionale), fece scattare così l'allarme rosso. Proprio da questo punto parte Roberta Marzorati (Per Como), che riporta il caso Ticosa in consiglio comunale, dopo anni di silenzio, con un'interrogazione al sindaco: «Un dato così alto non è mai stato rilevato in nessuna città lombarda, senza contare che le percentuali sono molto strane, come ammette Arpa. Io voglio sapere che fine ha fatto quell'amianto, rilevato il 28 marzo e sparito il 3 aprile». Il resto è storia nota. Arpa fa analizzare la guaina bituminosa trovata in cantiere il 10 aprile e conferma la presenza di «amianto nella varietà crisotilo». Il 29 giugno, infine, la Procura ordina il sequestro dell'area e impone di smaltire i materiali come rifiuti speciali. Non pericolosi, ma contenenti amianto. Fin qui le informazioni di cui siamo in possesso.
Gli sviluppi di questi giorni, legati all'inchiesta di Milano sugli affiliati lombardi ai clan calabresi e al cosiddetto amianto dei boss, gettano però una luce nuova e sinistra sull'intera vicenda. A citare i lavori in Ticosa sono per primi i carabinieri del Noe (gli stessi che misero i sigilli sul cantiere), nella loro informativa inviata alla Procura sulle presunte malefatte della Perego Strade. Le testimonianze di alcuni autisti, poi, confermano i sospetti di strani movimenti documentali, con «formulari precompilati o blocchetti in bianco».
E allora? La Marzorati, nell'interrogazione al sindaco, chiede dove sono stati portati i detriti, i quantitativi di ogni viaggio, le bolle di accompagnamento. Non solo. Chiede a Bruni perché non ha fatto fare campionamenti dell'aria durante la demolizione e l'esatto ruolo della Perego Strade nella vicenda. Domande alle quali il sindaco deve una risposta. Non è una cortesia nei confronti di un consigliere, ma un atto dovuto alla città. Sia pure con cinque anni di ritardo.
Emilio Frigerio

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