I nostri vecchietti
non sono un debito

Sarà la crisi, ma se l'industria va male, la Ca' d'Industria va peggio.
Pochi anni fa avevano cambiato i vertici, perché volevano vederci chiaro in una gestione che manovrava miliardi e costruiva residenze a cadenza fissa. Scelta sciagurata, essendo caduti dal dessert nella brace senza nemmeno passare dalla padella.
L'ultimo bollettino della Fondazione pare quello di guerra: strutture chiuse, medici che se ne vanno, soldi che mancano, debiti contratti con le banche, titoli e terreni venduti per fare cassa. Intanto il consiglio di amministrazione non c'è e il sindaco Bruni nicchia, rinviando di giorno in giorno la scelta dei futuri amministratori, nella speranza che qualche problema si risolva, mentre in realtà è accanimento terapeutico: si rimanda soltanto l'agonia. Uno sfacelo che Como non si meritava, che i suoi anziani, soprattutto, non meritavano.
Hanno lavorato come muli, una vita, e pretendevano poco, soltanto un letto pulito dove distendersi, la sera, e un pasto caldo, che prevedesse ogni tanto cazzuola o polenta. Non si può più. Tutto igienizzato, tutto standardizzato, tranne la pazienza.
Potessero alzarsi dal letto, dire la loro, lanciando magari il bastone o la stampella, avremmo risolto in quattro e quattr'otto la faccenda, invece dobbiamo dipendere dalla politica, con i suoi tempi, con i suoi riti, con le sue liturgie per dividere la torta. Un pezzetto a te, un pezzetto a lui, un pezzetto a l'altro, solo l'anziano non mangia. O mangia male, ch'è anche peggio, perché anche se non può dire nulla si incavola.
Un sacrificio doppiamente inutile, perché se la pancia non è piena le casse sono svuotate, per il colmo dei colmi: lo stesso appalto mensa. Che sforna pasti in eccesso, pagati per contratto sull'unghia e che finiscono con l'essere per i bilanci della casa di riposo una mazzata. Bisognerebbe fare un passo indietro o almeno rivedere l'accordo stesso, ma non è possibile. Potrebbe farlo soltanto il consiglio di amministrazione che non c'è, perché il sindaco non lo nomina.
Siamo al paradosso del danno e della beffa. Perciò non chiediamo semplicemente al sindaco di spicciarsi, di decidersi, ma lo supplichiamo proprio, ci genuflettiamo persino, se può servire a qualcosa, se gli dà in qualche modo la sveglia.
Dipende tutto da lui, che ha già sbagliato una volta, scegliendo persone che non si sono dimostrate all'altezza, mal consigliato dai suoi stessi amici e anche da coloro che adesso lo attaccano. Compreso quel Partito democratico che ora giustamente s'indigna, ma aveva indicato Romolo Vivarelli, che non s'è distinto se non per l'ambiguità della sua azione, oltre che della sua presenza. Per non parlare di Giorgio Pozzi, che ha preteso a suo tempo in consiglio tale Mario Peloia, oppure la Lega Lombarda, che ha indicato Flavia Farina.
Facciamo i nomi perché siamo stanchi di peccati, opere precarie e omissioni. E perché la Ca' d'Industria merita una buona battaglia, visto che è il simbolo stesso della decadenza di questa città, che per colpa della politica ha svuotato il portafoglio e, peggio, perso la faccia.
Giorgio Bardaglio

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