Altro che licenziamenti
Salviamo le imprese

Tutti vorremmo sapere come andrà a finire la crisi del debito pubblico. Vorremmo essere rassicurati sul fatto che non ci sarà una nuova recessione. Tutti abbiamo il desiderio di sapere quale futuro ci attende. Se, come è stato per i nostri padri, il domani continuerà a essere il tempo per cui coltivare aspettative di maggiore benessere e sviluppo. O se, invece, saremo tutti a costretti a ridimensionare consumi e stili di vita perché in sostanza diventeremo più poveri.
Tanti interrogativi ma nessuno di noi ha la sfera di cristallo per indovinare quali decisioni prenderanno le organizzazioni soprannazionali e i governanti dei diversi paesi, cosa faranno le banche centrali, come reagiranno le borse e le opinioni pubbliche.
Siamo in balia degli eventi - questa è la circostanza che più inquieta - e pare che, di settimana in settimana, i sacrifici richiesti non siano mai abbastanza.  Ora, non è questa la sede per stabilire se l'attuale governo sia sufficientemente solido e attrezzato per portarci fuori dalla burrasca nel migliore dei modi. Ma, certo, disorienta registrare che da alcuni giorni gran parte del dibattito politico e del confronto tra esecutivo e parti sociali, verta sul tema dei cosiddetti licenziamenti facili per le aziende in stato di crisi.
L'intervento è stato accolto con favore dagli industriali mentre ha ricompattato il fronte sindacale che minaccia di contrastarlo anche attraverso lo sciopero generale. Uno schema che non sorprende ma ci chiediamo se sia di questo che ha bisogno il paese per favorire la crescita e se, in un momento qual è l'attuale, sia utile esasperare lo scontro sociale su una questione molto condizionata dall'ideologia e poco aderente alla realtà.
E' veramente questo ciò di cui hanno bisogno le aziende per affrontare le difficoltà attuali? E un clima di contrapposizione ideologica sull'articolo 18 qual è quello che si prospetta, non rischia di compromettere la possibilità di un confronto, serrato ma pragmatico, sulla riforma delle pensioni, sulla ristrutturazione della spesa pubblica, sulla riduzione delle tasse che gravano sul lavoro, sugli incentivi alla ricerca e allo sviluppo?
I dubbi, di fronte ai radicalismi opposti che già occupano i salotti televisivi, si alimentano dal racconto del territorio. Il nostro territorio, le nostre imprese, la nostra gente. La crisi alla Sisme di Olgiate si trascina da alcuni anni ma ora sta arrivando al punto più drammatico. 380 lavoratori rischiano di restare per strada. E allo stesso modo senza via d'uscita sembra il futuro di altre due industrie storiche come la Inda di Caravate e la Ims di Caronno Pertusella, un tempo leader, con il marchio Emi, nelle produzioni discografiche.
Tre storie diverse e un risultato comune: il lavoro che non c'è più, l'impoverimento ulteriore di un tessuto produttivo già devastato negli ultimi anni, dalla concorrenza globale e dalla delocalizzazione nei paesi emergenti.
Vorremmo che nella prossime settimane si parlasse di questo, senza pregiudizi né ideologismi. Il rischio vero è quello di trascorrere dei mesi storditi dal rumore delle piazze sulla questione dei licenziamenti. Poi, quando ci risveglieremo e magari il governo non ci sarà più, ci accorgeremo che sarà troppo tardi per correre ai ripari.
Enrico Marletta

© RIPRODUZIONE RISERVATA