Como, il dopo Bruni
e l'attesa del miracolo

  Non fosse altro che perché la legge, esauriti due mandati amministrativi, lo obbliga  a farlo, il sindaco Stefano Bruni lascerà necessariamente la poltrona di Palazzo Cernezzi in occasione delle prossime elezioni. Naturalmente c'è in città anche chi mostra curiosità a proposito del futuro della sua carriera politica, ma è inutile nascondersi che non è questa la prima preoccupazione dei comaschi.
La sua uscita di scena, almeno per quanto riguarda il vertice del Comune, coincide piuttosto con i tanti interrogativi - fiduciosi o preoccupati - sull'identità del suo successore e con l'impercettibile ma diffusa convinzione che l'avvento di un nuovo governo cittadino coinciderà necessariamente con una svolta capace di risolvere, quasi per incanto, i tanti problemi che hanno avvilito Como negli ultimi anni. Si tratta di una speranza ovviamente ben comprensibile, ma non necessariamente motivata, anzi per certi aspetti pericolosamente fondata più su un'illusione che su una solida analisi.
Dando anche per scontato che gli ultimi cinque anni non solo non hanno brillato per capacità, creatività, efficienza amministrativa, e che spesso piuttosto che risolvere problemi spinosi ereditati dal passato se ne sono creati dei nuovi, altrettanto e più spinosi dei vecchi, il colpo d'ala che tutti attendono è certamente augurabile, ma tutt'altro che certo. Supposto anche che le convulsioni già iniziate all'interno dei partiti, e destinate a protrarsi con le primarie, portino alla presentazione di candidati di eccezionale capacità, e che fra questi e quelli eventualmente escogitati da qualche lista civica l'elettorato sia in grado di scegliere il migliore, per un deciso cambio di passo rispetto al passato dovrebbero verificarsi diverse condizioni.
La prima è che, intorno al primo cittadino, il voto collochi un consiglio comunale capace di affiancarlo invece che di intralciarlo, come troppo spesso è accaduto in passato. La seconda è che ci sia un programma ambizioso e insieme realistico, ma soprattutto coraggioso. Capace cioè - inevitabile pensare a quella mostruosità che va sotto il nome di paratie - di porre all'ordine del giorno questioni sulle quali, quando è il caso, non si abbia paura di ammettere che si è imboccata la strada sbagliata e si sia quindi disponibili a fare marcia indietro. Senza la presunzione di avere il crisma dell'infallibilità, che quasi sempre porta a sbattere. E soprattutto a far sbattere la città. La terza è la capacità di riportare la macchina comunale all'eccellenza nella capacità di elaborare, progettare e attuare le indicazioni della giunta, altrimenti anche le decisioni più lungimiranti non resteranno altro che una inutile testimonianza a futura memoria.
Se si considerano le attuali condizioni dei bilanci e le prospettive di un ulteriore restringimento delle risorse a disposizione dei comuni, la quantità e la gravità dei problemi che i nuovi amministratori riceveranno in eredità dai vecchi, si comprende bene come per realizzare - in condizioni oggettivamente non facili - un così drastico ribaltamento occorrerebbe davvero un miracolo. Non aspettiamoci, dunque, miracoli. Meglio augurarsi un più realizzabile ritorno a una prassi amministrativa seria, responsabile, senza fuochi d'artificio e senza eccessi d'arroganza, capace magari di parlare alla città e di ascoltarla. E di fare, poi, ciò che è realisticamente possibile fare. Sarebbe già molto.
Antonio Marino

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