I rassicuranti bollettini
del borgomastro Bruni

  Le paratie non sono un problema, i lavori al cantiere cominceranno domani e se lo si guarda di sguincio, la sera, specialmente a novembre, con un filo di buio e la bruma, il lungolago non è poi tanto male. Sembra Dresda.
La periferia di Dresda. Gli argini del fiume Elba, per la precisione, nel quartiere di Zschieren. Non ora, vent'anni fa, prima che il comunismo crollasse e con esso anche i luminosi bollettini ufficiali, a cui il borgomastro Stefano Bruni evidentemente si ispira, informando la cittadinanza che tutto va bene, che tutto fila, funziona e ch'è il migliore dei mondi possibili, se non fosse per la propaganda bieca e disfattista, che si ostina a mettere il dito nella piaga, a fomentare gli animi, a insinuare persino il dubbio - pensate - che i venticinque o trenta milioni di euro pubblici siano stati gettati al vento, trasformando uno degli angoli più incantevoli al mondo in una boiata pazzesca.
Più impermeabile alle critiche di due metri quadri di tela cerata, il primo cittadino comasco tira dritto, guarda avanti, ostenta sicurezza e, quel che è peggio, indifferenza. Tanto, cosa volete che sia. Abbiamo ingoiato rospi che parevano ippopotami, che sarà mai portare ancora pazienza, starcene qui, buonini buonini, ad ascoltare la favola del "tutto bene madama la marchesa", del "tranquilli, che ogni cosa si sistema". Basta non fare i difficili, chiudere gli occhi e fingere che lì, sul lungolago, non ci sia una palizzata altra tre metri, niente cemento armato, ruspe ferme, gru, metallo arrugginito che spunta da muri monchi, pile di ferraglia e cumuli di terra.
Questione di punti di vista. Non esprimiamo giudizi: sono i fatti a parlare.
La Sacaim, l'azienda che ha in appalto il cantiere, rischia di fallire, ha creditori infuriati e duecento milioni di debito con le banche, è in amministrazione controllata, chiede la cassa integrazione per i dipendenti, si dimette uno dei commissari nominati dal tribunale. La passeggiata è a un punto di non ritorno: si è fatto troppo, per tornare indietro, e troppo poco per essere avanti. Le opere già realizzate perdono i pezzi: cede una parte della scalinata, le pietre di copertura si staccano, essendo state appiccicate come si fa con le piastrelle del bagno di casa, senza tener conto che invece erano a pelo d'acqua, estate e inverno, sotto il sole cocente e al gelo. Il progetto finale di ciò che sarà il lungolago non si conosce ancora, si procede a tentoni, senza una visione, una strategia. Nessuno sa dire come sarà: compriamo a scatola chiusa, anche se non è Arrigoni, la confettura.
E il sindaco? Rassicura. Minimizza. Ed è qui che il vaso trabocca. Perché novecento e novantanove comaschi su mille, al suo posto, sarebbero lì tutti i giorni, lascerebbero da parte lavoro, passatempi, famiglia, finché i problemi non si siano risolti e la ferita rimarginata. A costo di usare noi pale e picconi, rimboccarci le maniche e metterci alla betoniera, prendere per il bavero geometri e ingegneri, sbraitare, gridare che qui non è solo il sindaco, ma l'intera città a perdere il futuro e non soltanto la faccia. Caro signor Sindaco, non vogliamo essere rassicurati. Vogliamo che i lavori finiscano, presto e bene. Più che la penna, in questi casi, vale la cazzuola. Quella che usano i muratori, non quella che di questi tempi si mangia e che se esageri è un po' come le sue dichiarazioni: resta indigesta.
Giorgio Bardaglio

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