Como, la Ticosa e la nostra salute

In tutti i cantieri dove ha lavorato la Perego nel corso degli anni sono stati utilizzati materiali fortemente inquinanti, come eternit e amianto, per le opere di riempimento». La confessione di un escavatorista, agli atti dell'operazione Infinito, getta una luce nuova e sinistra sulla modalità di gestione dei cantieri sul Lario, a partire dall'ex Lechler per arrivare al Sant'Anna bis e alla Ticosa.
È proprio nel 2007 che l'ex dipendente della Perego Strade colloca il salto di qualità operativo, rivelando la presenza sui cantieri di «materiale pericoloso». E il pensiero corre inevitabilmente al 27 gennaio 2007, quando l'ex tintostamperia fu abbattuta tra proclami e fuochi di artificio. E al 28 marzo 2007, quando la centralina Arpa di viale Cattaneo registrò un valore assolutamente anomalo di fibre di amianto per litro, pari a 0,41. «Un dato così alto - ha dichiarato la consigliera comunale Roberta Marzorati, autrice di un'interrogazione al sindaco - non è mai stato rilevato in nessuna città lombarda. Io voglio sapere che fine ha fatto quell'amianto, rilevato il 28 marzo e sparito il 3 aprile. Insomma, in quei giorni sono usciti camion dalla Ticosa?».
Nei giorni scorsi è emerso che nel periodo tra il via all'abbattimento (gennaio 2007) e il sequestro dell'area (fine giugno 2007) non risultano documenti che certifichino movimenti di materiali dal cantiere. Le bolle di accompagnamento (consegnate al Comune solo nell'ottobre 2010), infatti, sono tutte riferite ai 4mila metri cubi di detriti messi sotto sequestro e poi smaltiti come rifiuti speciali. Quindi, almeno in teoria, tra gennaio e fine giugno 2007 dal cantiere non si è mossa foglia. Domanda: come ha fatto a scendere drasticamente il livello di fibre di amianto tra il 28 marzo e il 3 aprile? Cosa è successo veramente in quella settimana?
Ci sono varie possibilità: 1) le centraline hanno rilevato dati errati (ma non ci sono state smentite); 2) ci troviamo di fronte a un mistero degno del Triangolo delle Bermude; 3) qualcuno, informato dell'allarme, ha fatto sparire la porzione di detriti più contaminata, dimenticando però i residui (vedi guaina bituminosa) che portarono al sequestro. Chi? Come? Con quali modalità? E ancora. Dove è finito l'amianto? Quali rischi ha determinato?
Gli sviluppi di questi giorni, legati all'inchiesta di Milano sugli affiliati lombardi ai clan calabresi, fanno fischiare le orecchie. Prima le testimonianze sull'amianto della ex Lechler finito sotto il nuovo ospedale; poi le testimonianze degli autisti su «formulari precompilati o blocchetti in bianco»; ora le ombre sui lavori in Ticosa. Tutto questo fa temere che la criminalità organizzata abbia avuto accesso privilegiato, in alcune circostanze, a importanti appalti. E la vicenda Perego dimostra che le infiltrazioni mafiose, anche in imprese apparentemente sane, non sono eventualità da escludere a priori.
Per questo l'ente pubblico ha il dovere di vigilare con attenzione e pignoleria. Così, con il senno di poi, quella difesa a oltranza dell'operato sul cantiere, dando del visionario e del terrorista a chiunque osasse anche solo porre domande, suona oggi doppiamente stonato. A distanza di cinque anni, probabilmente, questi nuovi interrogativi non sortiranno nulla. Ma forse sarebbe il caso che, sul fascicolo Ticosa, si facessero comunque ulteriori accertamenti. Quando c'è di mezzo la salute pubblica vale la pena di non lasciar nulla di intentato.

Emilio Frigerio

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