I cristiani, gli islamici
e il diritto di pregare

La necessità di ricercare il proprio senso religioso è per natura uno dei bisogni dell'uomo. Questo non ce lo possiamo dimenticare e non possiamo dimenticare anche che ogni uomo sceglie di aderire ad una propria religione, che in quanto tale va rispettata.
Lo sottolinea anche la Costituzione Italiana, stabilendo la libertà di professare il proprio credo religioso, nei luoghi di culto che ciascuna religione si sceglie. Eppure le moschee spaventano ancora e spaventano sempre. Può essere comprensibile se ci si ferma all'islamismo integralista e terrorista che legittima la violenza e la morte come parte del sentire religioso. E' però necessario fare dei distinguo: non tutto l'islamismo è integralista e terrorista e già riconoscere questa diversità, significa rispettare il senso religioso di altri popoli e di altre etnie. Il terrorismo è un crimine, la preghiera un bisogno universale. Per questo motivo è necessario garantire ai molti islamici che da anni lavorano, vivono e si sono radicati nelle nostre realtà sociali la possibilità di avere luoghi di culto in cui pregare.
La moschea non è un simbolo di morte: è semplicemente un luogo dove si prega Dio, dove si cerca un'ascesa spirituale, come fa il cristiano. E allora perché fa così tanta paura, da creare sempre polemiche, prese di posizione, divieti?
Non è certo che impedendo di costruire le moschee si tenga lontano il rischio del terrorismo islamico, che comunque resta un problema, sia con le moschee, sia senza le moschee. Se si tratta invece di salvaguardare l'identità cristiana delle nostre radici, non saranno certamente le moschee a sottrarre fedeli alle nostre chiese, visto che ci ha già pensato la cultura consumista di questi decenni a minare il nostro sentimento religioso. Sono obiezioni che vanno tenute in considerazione, affinchè le scelte politiche non entrino in quella delicata questione delle libertà individuali che connotano la civiltà di una nazione, di una città e di un paese.
Anche Como deve affrontare il tema della moschea che non c'è e che, stando alle decisioni della politica, non dovrebbe esserci, visto che il Piano di Governo del Territorio (che sostituirà l'attuale Piamo Regolatore) non fa alcun cenno alla possibilità di realizzarne una in città e visto che il Consiglio della Circoscrizione 3 ha, di fatto, bocciato l'ipotesi di adibire a luogo di preghiera, un Centro a Camerlata.
Siamo di fronte a due posizioni: la comunità islamica che chiede un luogo in cui pregare, gli amministratori che non recepiscono il bisogno. Solo la comunità cristiana, attraverso la voce del parroco di Rebbio, difende il diritto dei fratelli islamici e ribadisce che «ogni uomo deve poter professare in modo comunitario e libero la propria religiosità e per questo necessita di spazi adeguati, anche perché gli islamici a Como sono numerosi. Credo che questi debbano essere dati, poi sono le stesse comunità a costruirvi».
È una posizione assai corretta, autorevolmente confermata dal vescovo Coletti, in linea con la necessità del dialogo tra le religioni che oggi più che mai diventa sempre più importante, un dialogo che può costruirsi accordano a tutti gli stessi diritti. Il diritto di preghiera non è meno importante di qualsiasi altro diritto e non può essere accordato a discrezione. Tutti hanno il diritto di pregare il loro Dio, nei modi consoni alla propria religione. La politica non può decidere se una religione possa essere professata o meno: può valutare la fattibilità degli interventi, cercare luoghi e spazi idonei. Il resto è una questione di uguaglianza: e davanti a Dio siamo tutti uguali, cristiani e islamici, poveri e ricchi, politici e gente comune. Ha ragione il parroco di Rebbio: innanzitutto garantiamo il diritto al luogo di culto, poi saranno le comunità islamiche a costruire il proprio spazio di preghiera e la sua identità.
Se rimane qualche dubbio, non serve negare il diritto, per prevenire. L'importante è vigilare, come accade anche in altri ambiti e per altre questioni. Se la legge viene violata, si interviene. Diventa invece un paradosso lasciare il vuoto intorno al diritto, per evitare che la legge sia violata.
Fulvio Panzeri

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