A palazzo Chigi l'ora dei visi pallidi

La scena è parsa curiosa, perfino buffa. Si immagini un'automobile scivolare, la marcia in folle, fino ai margini della boscaglia. All'improvviso, si accendono gli abbaglianti. I fasci di luce invadono la vegetazione: gli alberelli più esili si scoprono nudi, i cespugli cedono la loro intimità alla luce bianchissima; qui e là, spaventatissimi, si scorgono anche gli animaletti del sottobosco. Nel panico cercano rifugio in qualche profonda tana oppure, attoniti, fissano a occhi sgranati il prepotente astro che li strappa a una natura ombrosa.
Così, se non suona irriverente, sono apparsi i ministri del neonato governo Monti davanti alla luce dei riflettori e sotto lo sguardo sfrontato delle telecamere. Creature pallide, poco avvezze all'interesse generale, refrattarie al cerone, quasi goffe nel presentarsi a un'occasione pubblica e nell'offrirsi, più per dovere che per volontà, alla curiosità dei giornalisti. Non tutti, si intende: non si può dire che un manager del calibro di Corrado Passera sia proprio estraneo a interviste, forum internazionali e perfino a qualche serata Vip. Gli altri però avevano tutta l'aria di chi, con cerimonia, intende la prima comunione, un matrimonio in collina e, soprattutto, il conferimento di una laurea. Una certa differenza, lo ammetterete, con l'esecutivo precedente i cui componenti vantavano, per così dire, un certo allenamento mediatico e le cui giornate, pienissime, conoscevano momenti di riservatezza solo tra le pareti del bagno: mattinata al ministero, pomeriggio a Sky, serata a Porta a Porta e nottata al privè. Un programma, si badi, non del tutto estraneo ai rappresentanti dell'opposizione ai quali una bella partecipazione a Matrix, per non dire a Pomeriggio Cinque, non ha mai fatto senso. I ministri di Monti, al contrario, fino a oggi hanno frequentato perlopiù i filmini fatti in casa: li si vede accarezzare i nipotini, tagliare la torta per la seconda laurea e, limite estremo della trasgressione, concedersi una sfogliatella in onore dell'ennesimo master di Economia.
Per i cronisti parlamentari, lo choc non è stato indifferente. Nelle righe dell'agenzia Ansa comparivano ieri parole come «garbo», «riservatezza», «misura»: termini che difficilmente potevano sovvenire di fronte alle fauci spalancate di un La Russa.
Tutto ciò non basta per dire che il governo Monti sarà senz'altro meglio del governo Berlusconi: bisognerà vederlo all'opera e occorrerà valutare i frutti del suo lavoro. È giusto notare, però, che un cambio di stile c'è stato, da subito, e che questa «sospensione della democrazia», come qualcuno - allarmato e allarmante - ha voluto definirla, è sembrata per il momento un «ritorno della civiltà», se con "civiltà" si intendono, tra le altre cose, correttezza formale e buone maniere. Ingredienti forse non decisivi per assicurare un buon governo, forse inutili per rassicurare i mercati, ma certamente benvenuti in un Paese sfibrato dai continui sgambetti, disgustato dalla sfrontata malafede dei soggetti politici e deluso dall'incapacità di vedere oltre la quotidiana polemica e l'immediato tornaconto. Un governo di professori, insomma, gente che insegna e sta in cattedra. Potrà anche non piacere, ma dai professori, da quelli bravi almeno, c'è sempre da imparare. E Dio sa se ne abbiamo bisogno.

Mario Schiani

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