Le scelte politiche
del governo tecnico

La nomina dei sottosegretari del governo Monti ci ricorda una cosa ovvia. Dal momento che nessun governo può sopravvivere senza sostegno parlamentare, neppure si può immaginare che il "governo tecnico" possa prescindere dai partiti politici che lo appoggiano: Pdl, Pd, Terzo Polo. Più che di un "governo del presidente", formula ambigua, sarebbe corretto parlare di un governo di "grande coalizione".
Come quello che ebbe la Germania. Lo sbocco naturale di un governo di grande coalizione, in una "democrazia dell'alternanza", sono le elezioni. Proprio per questo, è facile capire come si orienteranno le forze politiche che lo sostengono: ciascuna cercherà di minimizzare le ferite inflitte, in nome del rigore, ai gruppi sociali che la votano.
È per questo motivo che fra i sottosegretari del governo ci sono alcune figure che sono legatissime a esponenti politici di primo piano, del Pdl oppure del Pd. La politica non poteva accettare che ministeri e ambiti d'intervento molto delicati (il welfare o l'economia, per esempio) fossero completamente commissariati da tecnici "puri". Se quest'operazione di "profilassi elettorale" dei partiti avesse luogo al momento della formazione del governo, punto e basta, sarebbe tollerabile. Invece è molto probabile che in Parlamento i rubinetti del consenso si aprano e chiudano con una certa spregiudicatezza. Sulla crisi italiana, i partiti hanno le idee chiare: non vogliono che il Paese ne sia travolto, ma soprattutto non vogliono esserne travolti loro. Guardando alla "grande coalizione" di cristiano democratici e socialdemocratici tedeschi, è abbastanza chiaro cosa ci si può e cosa non ci si può aspettare da governi sostenuti assieme dalla destra e dalla sinistra. La grande coalizione aumentò le tasse: nel gennaio 2007 ritoccò l'Iva di tre punti percentuali. Estese gli ammortizzatori sociali, alzando contemporaneamente l'età pensionabile da 65 a 67 anni di età. Riformò la tassazione sulle imprese. In politica estera, riannodò i fili del dialogo con gli Stati Uniti, dopo le pesanti polemiche sulla guerra in Iraq. Nel complesso, si tratta di misure che possiamo attenderci anche dal governo italiano.
Un innalzamento dell'età di pensionamento è inevitabile, in società che invecchiano come le nostre. L'inasprimento della pressione fiscale, più che per far tornare i conti (quanta spesa pubblica inutile si potrebbe tagliare?), obbedisce a una logica strettamente politica. È più facile, per partiti politici che si trovano "a stare insieme" per un giro di valzer, "ripartire" il malumore per tasse più alte, soprattutto se come l'Iva colpiscono in modo uniforme i loro elettori, anziché scontentare, riducendo la spesa, gruppi che vivono di denaro pubblico e votano per l'uno o per l'altro. Nel rapporto con gli altri Paesi, anche noi ci attendiamo da Monti qualcosa di analogo, che in parte ha già fatto: dando al governo italiano un volto riconosciuto e credibile innanzi all'Europa e al mondo. Sul fronte delle riforme "strutturali", il bilancio dell'esperienza tedesca è poco esaltante. La grande coalizione non riuscì a realizzare una riforma della sanità pure auspicata da più parti, e che a tutt'oggi resta nell'agenda del governo tedesco. I governi supportati da forze politiche destinate a scontrarsi alle elezioni successive tendono a prendere decisioni di breve periodo, evitando di imbarcarsi in riforme ambiziose per la più banale e comprensibile delle ragioni: non scontentare coloro che dovranno premiare questo o quel partito. Oggi all'Italia servirebbe una Thatcher - ma si può essere thatcheriani senza scontentare nessuno?
Alberto Mingardi

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