Troppe imposte Pochi tagli alla spesa

Il professor Monti ha le spalle larghe, ma porta una croce pesante. Il suo governo oggi accompagna l'Italia ad un bivio: da una parte, la "salvezza", nostra e dell'area dell'euro. Dall'altra, il crac. Nostro e dell'area dell'euro. Le aspettative sono alte, il rischio di deluderle altissimo.
Il Presidente del Consiglio ha usato con grande frequenza due parole, per connotare l'azione di governo: equità e crescita.
Com'è noto, gli economisti non sono unanimemente d'accordo su che cosa porti un Paese alla "crescita": ancor oggi, si accapigliano sulle vere cause della ricchezza delle nazioni. Tuttavia, su una cosa tutti convergono: le tasse deprimono un'economia. L'ha ricordato l'ex ministro Vincenzo Visco, in un'intervista all'Unità: «Tutte le tasse sono recessive». È per questo che si fatica a comprendere come in un Paese che va verso la recessione (l'ha certificato anche il ministro Passera) il governo abbia varato l'ennesima manovra fatta prevalentemente di inasprimenti fiscali. Aumentare la pressione fiscale significa sottrarre ancora più risorse ai cittadini. Che lo si faccia trattenendole sulla busta paga, oppure colpendo conti correnti o immobili, cambia poco.
Le imposte possono essere "sul reddito", "sul patrimonio" o "sui consumi": però a pagarle sono sempre esseri umani in carne ed ossa. Per i keynesiani così si deprime la domanda aggregata, per i liberisti così si peggiora l'allocazione delle risorse: lo Stato spende "peggio" di come farebbero gli individui lasciati liberi di farlo, creando le condizioni per futuri contraccolpi economici. Davvero aumentare le tasse è l'unica strada, una medicina "amara ma inevitabile" se pure ci costerà in crescita economica? È possibile che in un Paese in cui la spesa pubblica è il 50,5% del prodotto interno lordo, un governo di "tecnici" non riesca ad individuare voci di spesa da tagliare e razionalizzare? È possibile che in un Paese in cui il patrimonio dello Stato è più o meno pari al debito pubblico (1900 miliardi), si facciano privatizzazioni per 15 miliardi in tre anni (del resto già decise dal precedente governo)? I tagli alla spesa di cui si legge sui giornali sono marginali. È comprensibile che un governo insediatosi due settimane fa non abbia avuto tempo per progettare la grande riforma del servizio sanitario nazionale. Ma è incomprensibile che non si siano esaminate strade alternative per recuperare risorse. Penso soltanto a una vecchia proposta discussa a lungo e mai realizzata: la cessione degli alloggi delle case popolari agli inquilini. Si immagina che ve ne siano un milione in Italia, venissero venduti per una cifra irrisoria (40 mila euro ad appartamento) l'incasso non sarebbe irrilevante. Si tratterebbe di una misura "equa", che "attrezza" con una piccola proprietà famiglie in difficoltà, la quale nel contempo leverebbe allo Stato i costi legati all'esazione degli affitti e alla gestione degli immobili. Soprattutto, aiutando anche chi sta peggio ad avere una piccola "proprietà" (su cui eventualmente fare leva nel momento del bisogno) creerebbe certezza: un clima migliore per investire e guardare al futuro.
Mario Monti e altri membri dell'esecutivo hanno più volte criticato l'ex ministro Tremonti perché si accontentava del "rigore" senza riforme. Perché, cioè, non comprendeva che l'Italia ha disperato bisogno di tornare a crescere.
Altro che crescita: un inasprimento fiscale creerà incertezza (a quando il prossimo?, si chiederanno gli italiani ripensando all'ultimo anno) e tramortirà la nostra economia. Con la massima equità: non c'è niente di più equo, del resto, che "'a livella".

Alberto Mingardi

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