L'uscita dal governo e l'opposizione al governo Monti sembrava aver corroborato i lumbard e placato una base che non poteva più di vedere i propri rappresentanti far finta di nulla o peggio di fronte alle berlusconate più impudenti.
E la svolta politica seguita alla fuoriuscita del Cavaliere da palazzo Chigi appariva come il miglior unguento per sanare le lacerazioni tra Bossi e Maroni. Invece il Senatur, probabilmente, aveva puntato tutto sul fallimento del governo tecnico, sulla sua impopolarità, magari su un effetto Grecia in Italia che potesse ridar fiato alle sopite utopie secessionistiche. Solo in questo modo, deve aver immaginato il capo, la Lega sarebbe potuta rientrare in gioco alla grande e riprendere con la vela il nuovo vento del Nord che avrebbe spazzato via gli altri partiti, rei di offrire sostegno ai tecnici del fallimento.
Invece il vero uomo del Nord che sta uscendo vincitore è uno nato proprio nella culla della Lega, Varese. Mario Monti ha saputo trovare subito la ricetta giusta per avviare la difficile uscita del paese dal pantano. Gli italiani, quelli del Sud come i settentrionali, lo hanno capito e sembrano disposti ad accettare i sacrifici, come peraltro è sempre accaduto in passato, di fronte a facce credibili. Bossi è finito nell'angolo, esattamente come quando la sua mente partorì la follia dell'appoggio alla Serbia di Milosevic durante la guerra del Kosovo. Da qui la livorosa reazione contro Monti, i soliti toni che salgono e sfondano i confini del delirio. Mancano solo i trecentomila bergamaschi armati, e l'assalto ai tralicci della Rai (ah no, quella ormai è stata espugnata dall'interno) e il remake è fatto.
Certo appare curioso che a scagliarsi contro il figlio di Totò Riina confinato al Veneto dal governo Monti ci sia il capo di un partito che ha salvato due volte Cosentino dall'arresto per Camorra. Ma questi sono dettagli. La strategia della voce alta che copre tutto è sempre stata la prediletta del Senatur. La domanda da porsi però è: pagherà ancora?
Perché dopo vent'anni, gli elettori del partito più longevo in circolazione (e con l'unico leader in attività con una condanna per tangenti tanto per tornare a bomba sul caso Boni), forse si attendono qualche beneficio al di là delle pandette ministeriali che purtroppo non si possono spartire con la base neppure dopo la farsa del trasloco a Monza.
L'Araba Fenice del federalismo è ancora al di là da apparire. E se fosse quella elaborata dal Carroccio e Tremonti è meglio non vederla mai.
I problemi del Nord sono più meno sempre gli stessi che la Lega promise di risolvere quando resuscitò Alberto da Giussano con il suo spadone.
La lotta tra Bossi e Maroni ancora deve trovare uno sbocco. Nel frattempo è paralisi, polemica, sterile violenza verbale. E zero sostanza.
Del resto un partito che comincia con Miglio e finisce con il Trota magari un po' da pensare lo da. C'era un volta la Lega. E di quella vera, che sapeva lottare per gli interessi del Nord in molti sentono la mancanza. Anche se non sono leghisti.
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