Dunque, tutti d'accordo tranne la Cgil mentre la Confindustria si dichiara (abbastanza) soddisfatta, sia pure sottolineando di aver obbedito all'appello di Giorgio Napolitano al senso di responsabilità collettivo. Monti ha precisato due punti. Primo, che la trattativa sui licenziamenti si è chiusa ieri pomeriggio e che l'ultimissima puntata della trattativa, prevista per domani, sarà dedicata ad altri aspetti ancora da definire. Secondo, che il governo non firmerà alcun accordo con le parti sociali, si limiterà invece a verbalizzare le loro posizioni sui vari punti. Poi Monti si confronterà col Capo dello Stato su quale strumento legislativo adottare per presentare la riforma in Parlamento.
Da questa successione degli avvenimenti emergono alcuni fatti politicamente significativi. Innanzitutto che il governo chiude una trattativa sofferta pagando sì il prezzo dello strappo con la Cgil ma senza mostrare per la verità troppa apprensione. Il fatto poi che non ci sia nessuna firma al termine del negoziato è una significativa innovazione della vecchia pratica della concertazione: il governo riconosce il Parlamento come suo unico interlocutore in quanto rappresentante dell'interesse generale. Sotto il profilo del potere di interdizione dei sindacati è una consistente limitazione: «Nessuno ha potere di veto» ha detto Monti, coerente in questo con quanto detto sin dall'inizio. Sarà dunque il Parlamento a giudicare se questo ammodernamento del mercato del lavoro è davvero una buona riforma, se mantiene le promesse del governo, se aiuta l'Italia ad uscire dalla crisi, se è equa oltre che utile. Certo dal Parlamento potranno venire anche delle sorprese: scontato il no delle opposizioni, i problemi potrebbero originare soprattutto dal Pd. È il partito di Bersani ora a subire politicamente un accordo che mette insieme tutti tranne la Cgil. Può il Pd "reggere" il dissenso della Camusso che rappresenta non solo un pezzo di elettorato democratico ma anche il riferimento di una corrente interna della stessa maggioranza bersaniana? Come mettere insieme il dissenso della Cgil con il consenso al governo? Dalle prime battute, pare di capire che la speranza del Pd è che tra Camera e Senato si facciano degli aggiustamenti all'articolo 18 che risolvano questo imbarazzo. Difficilmente, pensiamo però, Monti potrebbe accettare di modificare ancora una volta il delicatissimo equilibrio che è stato trovato. Per il PdL e Terzo Polo la situazione è assolutamente agevole.
In ogni caso Monti, dopo domani, potrà portare nel suo lungo viaggio in Cina, Giappone e Sud-est asiatico una nuova riprova del cammino dell'Italia verso la piena affidabilità. Questo voleva il presidente del Consiglio e questo ha ottenuto: ora può affrontare investitori tanto importanti quanto diffidenti.
Andrea Ferrari
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