Parole chiare, finalmente, con tutta probabilità concordate con il premier.
Un Monti che, nei giorni scorsi, era descritto da chi era vicino come sospettoso per il pressing crescente dei partiti della maggioranza e amareggiato per le critiche del Wall Street Journal e del Financial Times, che avevano fatto eco ai severi richiami di Emma Marcegaglia.
E ieri Fornero ha puntato il dito ancora contro gli industriali, usando il tema degli esodati. Insomma premier e ministro vogliono togliersi di dosso il sospetto che il governo tecnico non abbia la forza delle decisioni difficili e che preferisca il vecchio metodo della concertazione con la Casta e del consociativismo.
Eppure mai come oggi c'è bisogno di un vero esecutivo tecnico, competente, credibile in particolare all'estero e rapido, capace di decisioni difficili, anche sanguinose, ma necessarie. Molto più dure di quelle già assunte.
A scanso di equivoci va detto che la situazione italiana torna a farsi fosca. Si rischia un'estate di tensione come quella del 2011. La crisi c'è, ne siamo in mezzo e per noi potrebbe essere lunga, molto lunga la strada per uscirne. Un dato su tutti: Il Fiscal Contract cui abbiamo aderito ci impone di portare il rapporto debito/pil dal 120 al 60% in vent'anni, il che vuol dire. Senza significativi incrementi del pil (per ora lontani visto che per il 2013 il governo prevede addirittura un -1,3/-1,5% e il Fmi arriva al devastante -2,2%), una manovra da 40 miliardi all'anno. Per avere un riferimento gli interventi dal 2010 a oggi sono costate circa 100 miliardi.
Finora l'esecutivo ha privilegiato un aumento della tassazione e riforme i cui frutti si vedranno, se si vedranno visti i ridimensionamenti, fra diversi anni. Ma la speculazione e gli esperti sono preoccupati dal fatto che l'enorme massa del debito non è stata toccata, 1.935 miliardi e che l'avanzo primario non andrà oltre l'1,6% mentre secondo Bruxelles, occorrerebbe almeno un 5%. Il nodo è cosa fare? Per cominciare a intaccare questa montagna, che costa fra i 70 e i 90 miliardi d'interesse, tutti o quasi sono concordi che si deve affondare il coltello nella spesa pubblica, 722 miliardi quando nel 2000 erano 475, oggi al 54% del Pil contro il 45% di vent'anni fa.
E qui sta il difficile, anche per Monti: deve andare a dire ai partiti che vanno tagliati stipendi pubblici, pensioni d'oro e multiple, togliere sussidi alle imprese e esenzioni generose ai cittadini, ridurre la spesa di Regioni e enti locali. Non solo: sarà necessario vendere beni statali e imprese come Eni, Rai, Trenitalia, privatizzando fin nella periferia estrema, mettere le briglie a banche e fondazioni, cercare soldi con prestiti forzosi (dando titoli statali in garanzia) o varando una maxi patrimoniale.
Ecco le ricette sul tavolo, soprattutto ora che la Spagna sembra perduta quasi come la Grecia. Ce la faranno SuperMario e SuperElsa?
Umberto Montin
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