Non sono i primi a dirlo, gli operatori del Consultorio La Famiglia di Como e con loro l'assessore che li ha appoggiati. La novità sostanziale, rispetto agli "aiuti" alle famiglie di cui si sono riempiti la bocca molti politici in questi anni di crisi, è che per una volta qualcuno parte dalla società reale. Dove i matrimoni civili hanno superato quelli religiosi, un neonato su due è un figlio naturale e quattro unioni su dieci falliscono più o meno miseramente. Chi si occupa di persone, e delle loro storie, ha capito da tempo che i provvedimenti dei burocrati oramai non sono più adeguati ai tempi. E per quanto riguarda nello specifico le famiglie, ne tutelano di fatto una minoranza. Quando non le danneggiano. Dietro al "primo corso di preparazione al matrimonio civile", che partirà sul Lario tra due settimane, si percepiscono interrogativi sulla crisi della nostra società, che tutti dovremmo porci, e scelte culturali che andrebbero più largamente discusse e condivise, se si vuole recuperare la fiducia nel futuro.
Questa iniziativa, nel suo piccolo, mette in pratica due delle tre "vie di umanizzazione", indicate dal priore della comunità di Bose, Enzo Bianchi, nel suo recente intervento alle "Primavere di Como". Cerca di dare fondamenta più solide, e al passo con i tempi, alle relazioni tra donne e uomini, per prevenire quelle guerre di genere in cui spesso si tramutano le separazioni, creando bambini fragili, costretti a crescere senza la certezza di potere avere fiducia in mamma e papà, senza la certezza del loro amore o anche solo della loro presenza. Il consultorio cattolico ha anche fatto lo sforzo di cercare un dialogo con i laici, fondato sui valori umani che tutti dovremmo/potremmo riconoscere.
"Una famiglia più forte, rende la società più forte": lo disse papa Wojtyla, ma noi, laici, agnostici o atei, lo condividiamo o no? Scegliere di non sposarsi, affermando che non è il pezzo di carta a fare la differenza in una storia d'amore, è legittimo. Come lo è la scelta di quelli, un tempo maggioranza oggi minoranza, che preferiscono sposarsi in chiesa. Ma se l'impegno della coppia davanti a Dio è legato alla fede di ciascuno, il disimpegno, che troppe volte sconfina nella mancanza di rispetto, nei confronti del partner, dei figli e della società, non è accettabile da parte di nessun essere umano. Eppure è il dato allarmante che emerge dalle storie di tante persone che chiedono aiuto al consultorio, oppure non hanno neanche questa sensibilità e vanno dritte in tribunale.
A proposito di consultori, è tempo di chiedersi se non sia il caso di aggiornare la legge sull'aborto, che riconosce soltanto il valore sociale della maternità, e non quello della paternità, e subordina l'accesso al servizio del padre alla volontà della madre. Una premessa in contrasto con l'impegno e il rispetto reciproci chiesti alla coppia non (o non solo, per chi crede) da Dio, ma dal codice civile.
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