Come tutti i settori, la scure della "spending review" si è abbattuta anche sulla giustizia. Con un tratto di penna sono stati azzerati in un solo colpo 37 Tribunali minori, 220 sedi distaccate e 38 procure. La sensazione è che si tratti di tagli dettati da un approccio aridamente contabilistico che non tiene conto delle situazioni territoriali e delle esigenze reali, non solo del cittadino, ma della stessa macchina giudiziaria. Non si intravede, infatti, alcuna logica nell'impianto del decreto se non quella "decisionista" di sferrare drasticamente un colpo di sciabola ai soli "numeri".
In realtà, si potevano adottare dei criteri che sarebbe stato lecito attendersi da un governo composto da tecnici: ad esempio, il criterio, su base annua, delle cause radicate e delle sentenze emesse. Di contro, la soppressione degli uffici giudiziari ha obbedito ad una logica di tipo "emergenziale" finalizzata al'esclusivo ridimensionamento della spesa senza preoccuparsi delle ripercussioni sull'intero sistema che diverrà inevitabilmente più costoso (si ponga mente alle trasferte dei professionisti per il semplice deposito di un atto o la partecipazione alle udienze; oppure, si pensi al lievitare dei costi delle notifiche degli atti giudiziari).
Si dirà che, col tempo, molti problemi sono destinati a scomparire grazie al "processo telematico" ma anche qui permangono le gravi incognite di un paese troppo eterogeneo per poter plausibilmente credere che il sistema giudiziario saprà assurgere a livelli di eccellenza in tutte le aree del paese.
La certezza del diritto rischia di diventare una boutade se calata in un sistema giudiziario che subordina l'operatività di uno dei principi-cardine del nostro ordinamento democratico (la "Giustizia") all'adozione di un appoccio efficientista, aziendalista e tecnocratico. La tutela delle ragioni di ogni cittadino rappresenta la "ratio" fondativa di un sistema giudiziario: se tale principio viene disatteso, il cittadino è portato inevitabilmente a non avere fiducia in tutti gli operatori del diritto.
Nasce anche da questo l'ampio discredito che ha colpito dapprima la professione forense e, in tempi più recenti, la magistratura. Da tempo, ormai, il cittadino non crede più alla giustizia. La cosa più drammatica è che, a diffidarne, sono spesso gli stessi attori chiamati a gestirla e governarla (cancellieri, avvocati, magistrati). Questo è uno dei motivi principali per cui il nostro paese non è in grado di attrarre i capitali stranieri. Risulta davvero grottesco che un governo di tecnici non tenga conto di questa prosaica, banale verità.
Antonio Dostuni
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