Da una parte Umberto Bossi e Bobo Maroni, dall'altra Silvio Berlusconi e Angelino Alfano, con il Senatùr e il Cavaliere impegnati a riprendersi lo scettro ceduto ai secondi, o quanto meno a far capire chi comanda in casa loro. È dell'altro ieri un'intervista di Umberto Bossi in cui rivendica il suo potere e la sua egemonia all'interno del partito da lui stesso fondato, nonostante l'investitura a segretario di Bobo. Ed è di mercoledì l'annuncio della ridiscesa in campo di Berlusconi, aspirante premier e forse nuovo capo del partito dato in affido temporaneamente ad Angelino (il quale plaude al ritorno dell'eterno candidato). Il ruolo di padre nobile non gli basta e non scalda i suoi elettori, che gli chiedono un ruolo più diretto e operativo. Un ticket con Alfano da candidato premier gli permetterebbe, anche se non di conquistare Palazzo Chigi, di stare alla testa di un partito in grado di far pesare i suoi voti in un'ipotetica Grande Coalizione.
Quella del Cavaliere sarà anche una mossa a sorpresa, ma è stata accolta con una certa indifferenza a destra come a sinistra. Del resto Berlusconi ormai è sceso in campo tante di quelle volte da far concorrenza a un contadino. Ancora una volta dice che non ne può fare a meno, poiché in molti glielo chiedono e l'effetto taumaturgico, stando ai sondaggi, farebbe lievitare il Pdl al 30%.
Quanto a Bossi, con le sue dichiarazioni da patriarca, non fa che complicare ancora di più i confusi primi passi del neosegretario leghista, alle prese con una linea sfocata e altalenante («tirandré», si dice dalle sue parti) di lotta e di governo: invita i sindaci a non pagare l'Imu ma dichiara di averla pagata, abolisce il sacro rito dei leghisti sul prato di Pontida ma poi la riconvoca.
La verità è che dopo l'arrivo di Monti a Palazzo Chigi, nel centrodestra il tempo si è fermato, tutto è congelato come nel regno di Narnia. Il calendario è fermo al 9 novembre 2011, giorno di insediamento del «governo del presidente» (Napolitano). Un altro giro di giostra, per ritornare al 2008. È il nuovo che avanza, anzi che sopravanza, tra l'incubo quotidiano dello spread, l'ondata montante dei grillini (che ancora non si vede, ma si sente) e il governo dei tecnici di un premier delle larghe intese, votato dalla «strana» maggioranza bipartisan, ma che non vuole la concertazione e si innervosisce se il presidente di Confindustria dialoga con la Cgil (come peraltro facevano Gianni Agnelli e Guido Carli).
Mancano ancora otto mesi alle elezioni politiche, ma non si può dire che la situazione sia fluida. Il centrodestra per il momento è una pietanza in via di rimescolamento. Dal vago sapore di minestra riscaldata.
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