Proprio nel rispetto di un giovane dalla vita stroncata, della sua famiglia e del suo allenatore (al seguito sull'"ammiraglia") che lo ha visto morire sull'asfalto senza potere fare altro che accarezzargli il capo, non ce la sentiamo proprio di infilarci nella ricerca di colpe specifiche e di esprimere giudizi, anche perché sembra proprio che in questa tragedia, come in altre, a giocarci di brutto sia stata tanta fatalità. Però, pur nello sgomento e nel dolore, qualche riflessione è d'obbligo anche perché la morte di questo ragazzo che pedalava felice, assieme ad altri compagni, tutti scrupolosamente allineati in fila indiana come vogliono gli insegnamenti delle società ciclistiche, riporta purtroppo ancora una volta alla ribalta quell'atavico duello tra il ciclista lanciato sul bordo della strada e i conducenti di automezzi che alle biciclette sono costretti a contendere sempre troppo esigui spazi.
Sembra questa una sorda guerra che in Italia, pur tra tante polemiche, non riesce proprio a trovare mai una soluzione. A parte quei ciclisti un po' incoscienti che viaggiano in coppia o addirittura, a tre, anche lungo strade strette, difficili ed assai frequentate, ci pare proprio che ambedue le parti abbiano la loro bella dose di ragione. Quindi si potrebbe qui già tagliare corto sostenendo, anche secondo un antico concetto, che la strada e di tutti. Però ci sono anche i regolamenti, i divieti, le norme da rispettare. Ma quando lo spazio è esiguo come avviene in quasi tutti i bordi delle strade italiane, la convivenza tra il ciclista e il Tir sia difficile, o addirittura impossibile, pur rispettando anche allo scrupolo tutti i regolamenti e i codici stradali. Questa purtroppo è la situazione per i ciclisti pedalanti per semplice passione o per fare allenamento.
Cosa fare dunque? E' difficile certamente indicare, proporre soluzioni: siamo solo utenti della strada e non certo progettisti o esperti di viabilità. Però quel che in Italia è evidente anche a non esperto è una mancanza assoluta di cultura della bicicletta e del muoversi di questo veicolo lungo le strade, nonostante siamo un Paese con un altissimo numero di ciclisti e di campioni di ciclismo: sport nazionale, assieme al calcio.
In altri Paesi anche vicini al nostro la bicicletta ha invece il suo bel peso sulla progettazione delle strade, sia cittadine che intercomunali e di grande comunicazione. In Svezia, tante per citare una delle nazioni più rispettose delle esigenze ciclistiche, uno sportivo potrebbe percorrere centinaia di chilometri, pedalando a tutta birra, senza preoccuparsi dei veicoli. Si potrebbero citare tanti altri esempi di città e nazioni europee dove i ciclisti viaggiano tranquilli o quasi. Purtroppo però in Italia non solo mancano le piste ciclabili e quando gli amministratori pubblici ne sbandierano qualcuna, questa fa ridere in confronto a quelle straniere, sia per la loro brevità, sia perché risultano sempre spezzettate dal traffico. Da noi non c'è nemmeno la cultura dei bordi stradali, lungo i quali le gomme delle biciclette sono costrette a posarsi. Basta, mentre si guida, porre attenzione ai margini delle nostre strade: buche, pozzanghere, erba che invade l'asfalto, mancanza di banchine, rami e rifiuti che invadono la sede, sconnessioni e sbalzi, gradini, depositi di sabbia e di ghiaietto dimenticati e quindi pericolosi come quello sul quale non ha tenuto la gomma della bici del nostro ragazzo morto a Lomazzo. Le manutenzioni stradali? Non si vedono quasi mai. Solo una volta all'anno, si notano operai che puliscono queste cosiddette banchine.
Questi sono i percorsi che in Italia sono riservati alla bicicletta, agli amanti di questo sport bellissimo e con un numero grande di adepti.
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