Lo stop imposto dal nuovo assessore alla Cultura, Luigi Cavadini, alla festa con i fuochi per chiudere la mostra di Villa Olmo su «La dinastia Brueghel» si inquadra nel nuovo stile imposto dall'amministrazione guidata da Mario Lucini. Più sobrietà, perché i tempi lo richiedono, e niente sprechi. Fa niente se i soldi non sono quelli dei contribuenti ma arrivano dagli sponsor privati e dall'iniziativa del predecessore di Cavadini, Sergio Gaddi, curatore della mostra. Anche l'occhio infatti vuole la sua parte.
E la pupilla del cittadino comasco, già abbagliata dagli aumenti dell'Irpef comunale, non avrebbe probabilmente gradito il bagliore dei fuochi artificio che si levano da Villa Olmo.
Da queste parti, peraltro, le manifestazioni pirotecniche si portano dietro ricordi per nulla benauguranti. Su tutti lo show per la demolizione dei capannoni dell'ex Ticosa nell'anno di grazia 2007. Un lustro dopo restano solo desolazione e macerie.
Potrebbe anche essere che la scelta dell'assessore Cavadini sia anche determinata dalla volontà di evitare l'imbarazzo di un cerimonia il cui primattore sarebbe stato giocoforza Sergio Gaddi. Uno peraltro che le luci della ribalta le va a cercare come le falene.
Ma quello che conta è il risultato. E la rinuncia alla festa è il segnale di fine ricreazione. Perché tra l'altro tutto questo scintillio e cotillon è stato anche uno splendore utilizzato dalla precedente amministrazione per nascondere le tante miserie.
Un espediente a cui si spera non debbano ricorrere anche Lucini e C.
Ora però si tratta di evitare di gettare anche il bambino assieme all'acqua sporca. Sulle grandi mostre l'orientamento della maggioranza comunale non sembra essere granitico. È emerso l'altra sera durante la discussione sul tema in consiglio comunale. Ma era stato evidenziato anche da alcune prese di posizione prima e dopo le elezioni da parte di alcuni esponenti del centrosinistra che avevano fatto trapelare l'intenzione di non far cessare l'esperienza avviata da Gaddi per le sue ricadute positive sull'immagine di Como (su quelle economiche non c'è mai stata chiarezza). Il nuovo assessore alla Cultura ha espresso un orientamento diverso.
Nel bene e nel male e non sempre per volontà sua, la figura un po' ingombrante di Gaddi ha finora impedito un dibattito sereno e chiaro sul rapporto tra la città e le grandi mostre e sul nodo dei finanziamenti che comunque, anche se si decidesse di proseguire, non potrebbero più gravare se non in minima parte (anzi, meglio in nessun modo) sul bilancio comunale.
Vi è anche, e non è un elemento secondario, un'inchiesta aperta dalla magistratura. Ma forse ora potrebbero esserci i presupposti per comprendere davvero se le grandi mostre possono avere un valore per Como tale da non fermarle anche dopo il cambio politico alla guida di palazzo Cernezzi. Ne discuta la nuova maggioranza, magari con il contributo dell'opposizione che ha vissuto la precedente esperienza. Chissà che, come sulle paratie, non possa nascere una soluzione bipartisan e positiva per la città.
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