Guido Ambrosini
Quella dei pass per il centro è una vicenda pedagogica non solo per Como, ma anche per capire come è fatto questo Paese. Ritratto di famiglia, autobiografia della nazione, metafora di una comunità bambina e amorale, la misteriosa lista dei 4.613 comaschi che hanno ottenuto negli scorsi anni il permesso di passare in auto nell'area a traffico limitato è la rappresentazione plastica della zona grigia dove si impaluda un rapporto tra potere pubblico, cittadini e categorie professionali sempre giocato sulla relazione, il favore e l'ammiccamento e mai sulla chiarezza dei diritti e la distinzione dei ruoli.
Il sindaco Lucini che, oltre a essere una persona seria, ha il merito di aver sollevato per primo lo scandalo della proliferazione dei pass e garantito la volontà politica di risolverlo, dovrebbe fare molta attenzione alla mail inviataci da un nostro lettore e pubblicata qui sopra. Innanzitutto, perché è solo una delle tante che ci sono arrivate su questo tema. Poi, perché alla rabbia di chi si accorge che c'è sempre qualche furbo che aggira le regole che dovrebbero valere per tutti bisogna dare una risposta vera, altrimenti tra una giunta che ha regalato permessi a cani e porci e una che non li regala più, ma non fa nulla per rendere pubblica la lista dei privilegiati non c'è poi questa gran differenza. Mentre il rivoluzionario voto di maggio si è basato soprattutto sull'aspettativa di una totale discontinuità rispetto al passato. La trasparenza deve vincere sempre sulla privacy, checché ne dica il funambolico ufficio legale di Palazzo Cernezzi.
Perché se così non fosse, vorrebbe dire che anche a Como il passato non passa mai e continua a riproporre il solito rapporto melmoso tra pubblico e privato tutto basato sul quieto vivere: il Comune concede favori (ovviamente ricambiati) alle categorie o a singoli "clienti" e questi si appropriano di diritti dai quali sono esclusi i cittadini normali, pure stavolta sudditi impotenti delle conventicole degli amici degli amici. Non si spiega altrimenti il proliferare di forze dell'ordine, medici, rappresentanti, artigiani, impiegati, finti disabili, pseudo volontari e chissà quanti altri che usano il pass per motivi che non hanno niente a che vedere con un'esigenza professionale. Perché, considerati i numeri abnormi, per ogni permesso utilizzato in modo coerente ce ne saranno almeno cinque truffaldini visto che, anche questo è parte del patrimonio delle miserie umane, pure un pass di cartone fa status e state certi che il signor nessuno che alberga - inesorabile - dentro di noi, esibendolo, si illude di non essere il fallito che invece è. Anche perché, naturalmente, il nostro è sempre giustificato da improrogabili esigenze di servizio mentre è sempre quello del vicino di casa il frutto di inconfessabili rapporti col padrone del vapore. Siamo ancora lì: anche a Como, come ovunque, è sempre colpa degli altri.
E, naturalmente, la parte del leone nella nota vicenda l'abbiamo interpretata noi giornalisti, membri di questa meravigliosa categoria che in quanto a spirito critico, utilizzo del congiuntivo, indipendenza dal potere - e voglia di lavorare - non prende lezioni da nessuno. Ora, sarebbe davvero curioso sapere chi sono questi 55 colleghi (i nomi dei 14 della Provincia li abbiamo già pubblicati, verranno ridotti a 4) che ogni giorno si affannano su e giù per le vie della città murata, una densità per metro quadro quasi superiore a quella dei bagnanti al lago, dei pensionati in Posta o dei questuanti fuori dalla porta del direttore del giornale. Chi passeggia per il centro rischia di sbatterci addosso a ogni incrocio tanto si accalcano uno sopra l'altro, anche se - tranne alcune splendide eccezioni - è molto più probabile vederli filosofeggiare sui destini del mondo davanti a un bianco sporco piuttosto che sudare per trovare finalmente una notizia.
Chi fa questo mestiere dovrebbe sapere che la credibilità e l'indipendenza dalle fonti la si ottiene dicendo anche dei "no, grazie" alle offerte di pass, biglietti gratis per il teatro, corsi di aggiornamento in riviera, viaggi diplomatici in Europa con qualche ente pubblico o d'affari in Asia con qualche associazione o qualche aziendona più o meno partecipata, altrimenti quando pontifichiamo nelle nostre articolesse contro la Casta e i suoi privilegi prendiamo in giro i lettori e ci copriamo pure di ridicolo.
Magari sarà moralismo da quattro soldi, ma è meglio fare la figura del moralista che quella del barbone.
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