Sgorgata come spuma dalle onde di Tangentopoli e funzionale all'abbattimento del vecchio ceto politico, la rivisitazione della metafora del buon selvaggio - una comunità pure e incorrotta "in sé", prima tradita e poi infettata nel corso degli anni dal morbo della politica affarista, politicante e politicata - ha permesso di scolpire un'ideologia adamantina che ha perseguito l'obiettivo di far credere a tutti quanti di essere vittime incolpevoli della vergogna che ha travolto la prima Repubblica. Operazione finissima, a tratti diabolica, sulla quale, oltre all'azzeramento della vecchia classe dirigente, si sono pure costruite mirabolanti carriere politiche e giornalistiche.
Oggi lo schema non cambia. L'equazione viene riproposta con le stesse cadenze, per quanto riviste e corrette dal salto di qualità, o meglio di nefandezza, che ha portato i politici non più a rubare agli altri per il partito, come ai tempi della Dc e del Pci, e neppure a rubare agli altri per se stessi, specialità invece principe del Psi: ormai siamo arrivati all'epilogo grottesco in un grottesco paese nel quale è il funzionario del partito che ruba - per sé - al suo stesso partito. Una cosa mai vista, che nessuno di noi avrebbe mai potuto immaginare.
E così siamo arrivati al punto: non l'avremmo mai immaginato. E' la soluzione ideale, senza dubbio. Una constatazione appagante che ci permette di sentirci, ancora una volta, vittime a tutto tondo e di poter così riannodare lo sperimentato canovaccio retorico sulla politica che è tutto un magna magna e il più pulito ha la rogna e quelli lì sono tutti uguali e lo Stato dov'è e cosa fa per noi e bla bla bla con tanto di sbandierata sindacale in piazza, grandi moti di indignazione nei talk show radical chic, che ogni tanto si accorgono pure di quello che accade nei palazzi, e sontuosi giri di bianchi al bar la domenica mattina, che tanto alla fine comandano sempre quelli là…
Beh, non è così. La politica non è peggio della società che la esprime, ma ne rappresenta solo la proiezione, a tratti iperbolica, di certo impunita, ma di sicuro non "altra" rispetto a noi. Quelli lì non sono alieni, perché è nella società civile che allungano le loro radici melmose. Se c'è un corrotto c'è sempre anche un corruttore, se c'è qualcuno che trucca i concorsi c'è qualcun altro che accetta di rubare il posto a chi se lo meriterebbe, se c'è qualcuno (qualcuno?) che evade le tasse e non fa la ricevuta c'è anche qualcuno che non gliela chiede, se c'è un dopante c'è pure un dopato, se arriva uno che parcheggia in doppia fila e tu come ritorsione posteggi in terza poi non puoi dire che ha cominciato lui, perché ne stai completando l'opera. Se c'è un Fiorito, c'è qualcuno che in tutti questi anni lo ha concimato e innaffiato. Non esistono mondi iperurani dove si decidono le sorti delle nostre vite, non esistono stanze inaccessibili da parte di noi poveri cittadini umiliati e offesi e inermi e ingenui: esiste invece un unico mondo che ci tiene tutti quanti insieme e dove noi, ognuno di noi, ha non il diritto ma il dovere di combattere la propria battaglia. Se ci crede.
Certo, fa comodo a tanta informazione moralista e paternalista illuderci con la favoletta nella quale da una parte si trovano tutti i buoni e dall'altra tutti i cattivi ed è molto consolante riandare all'immortale motivo italico del "è sempre colpa di qualcun altro". Ma non c'è bisogno di aver letto Dostoevskij o Pascal per sapere che il male è dentro ognuno di noi, che ognuno di noi è vittima del proprio degrado e che sei solo tu che puoi castigare il tuo delitto. Abbiamo tutti gli strumenti, tecnologici, culturali e informativi per formarci una coscienza critica, per capire come vanno le cose, per discernere i saggi dai cialtroni, per guardare le facce e cogliere in quegli occhi chi dice il vero e chi ci prende in giro, per scegliere a chi dare il nostro voto o delegare il nostro futuro.
Però bisogna studiare, bisogna informarsi, bisogna capire. Bisogna fare fatica. Questi qui - i Lusi, i Penati, i Belsito, gli Zambetti e tutti quanti gli altri - li abbiano eletti noi e se non li abbiamo eletti noi, abbiamo comunque permesso ai partiti di sceglierseli senza renderne conto a nessuno perché in questi vent'anni abbiamo troppo spesso fatto prevalere la logica del chissenefrega tanto sono tutti uguali o, peggio ancora, quella del turiamoci il naso e votiamo il meno peggio - di sicuro l'editoriale meno riuscito di un giornalista per tutto il resto inarrivabile - oppure abbiamo incoronato chiunque garantisse i nostri porci comodi alla faccia del merito e della giustizia. A destra come a sinistra e come al centro.
E allora tutti quanti intruppati dietro sindacati ottocenteschi capaci solo di garantire chi il lavoro ce l'ha già e di ignorare chi non lo avrà mai, tutti sulle barricate per difendere inaccettabili pensioni ai cinquantenni o l'idolatria della scuola pubblica che non pensa a selezionare i migliori professori ma solo ad assumere precari in blocco, tutti a straparlare di liberalismo in un paese dove ce ne fosse uno che avesse mai letto una riga di Benedetto Croce visto che qui la concorrenza è solo tra chi spreca o ruba i soldi pubblici più in fretta e poi tutta quella retorica sul federalismo e Cattaneo e la purezza delle valli e la mitologia del Nord che guarda la Svizzera e disprezza l'Italia magrebina, che adesso a pensare a certe mangiatoie in camicia verde ti viene da ridere. O forse da piangere…
Avevamo nel 1992 così come abbiamo nel 2012 tutti gli strumenti per capire, colpire e prevenire. E invece abbiamo dormito. O sognato. O magari pure rubato, nel nostro piccolo. E non è una chiamata di correo, ovviamente - che di persone capaci e oneste ce n'è piena l'Italia, nelle professioni così come nella politica -, ma un appello a una presa di coscienza collettiva. La purezza della società civile non si proclama, si dimostra. Alle elezioni nazionali, a quelle comunali, nei comportamenti di tutti i giorni, nei rapporti con i propri dipendenti o datori di lavoro, nel rispetto delle regole. Prima di ritenerci tanto migliori dei nostri politici, cerchiamo di esserlo.
In una pagina amarissima, Dino Segre, maestro dell'umorismo tragico, motteggiava cinicamente sul fatto che "tutti gli uomini sono ladri, tranne nostro padre e l'uomo con il quale stiamo parlando. L'onestà degli uomini è regolata da una tariffa, c'è chi si vende per otto soldi e chi non lo farebbe neanche per un milione. Ma se gliene offrite due si deciderà. E se per due milioni non cede, provate a offrirgliene tre. Il grado di corruttibilità delle coscienze è come il punto di fusione dei metalli: ognuna ha la sua."
Se vogliamo essere davvero diversi da questo schifo di politica, cerchiamo di dimostrare che aveva torto.
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