L'Europa
monetarista
e le colpe
di Monti

  Si respira uno strano profumo di incenso attorno alla figura di Mario Monti. Si sente dire, da più parti, che occorre essergli grati per aver salvato il Paese dalla catastrofe finanziaria. Lo ha detto perfino Matteo Renzi, ben consapevole che Monti resta probabilmente l'unico, vero ostacolo alla sua irresistibile ascesa al governo.
A Mario Monti va ascritto il merito di avere  inoculato nella politica italiana quella dose vitale di serietà e compostezza che le mancava da anni, in particolare da quando la scena politica ha conosciuto l'avvento del circo mediatico del Grande Illusionista. Tuttavia, a parte questa svolta di natura "estetica", sarebbe anche utile aprire una riflessione di
natura "etica" che abbia per oggetto l'origine della costruzione europea alla quale Monti, il suo "milieu" culturale e gli incarichi ricoperti (la presidenza della Commissione europea, su tutti), hanno fornito un apporto non indifferente. Monti non è certamente esente da colpe per l'approccio mercatista che ha inficiato "ab origine" il progetto europeo sottraendo alla politica ogni sorta di potere di vigilanza e di controllo.
L'abilità del premier nel gestire i rapporti con i partner europei, corresponsabili delle magagne di un impianto fondato sulla centralità della moneta e del sistema bancario, non può mitigare le sue gravi responsabilità nell'edificazione di un'Europa che ha portato allo sconforto chiunque avesse vagheggiato il sogno di unire popoli e nazioni. L'Europa è nata e
si è consolidata con questo peccato originale che ha depotenziato la politica, i governi, i parlamenti nazionali. Ma non è solo questo. Dopo aver creato la moneta unica, l'obiettivo strategico dell'Europa avrebbe dovuto essere la realizzazione di un fisco comune a tutti gli Stati membri. La complessità di un simile processo avrebbe imposto la necessità di limitare le adesioni al progetto unitario solo a
quelle nazioni più virtuose sul piano finanziario e più omogenee sul piano culturale. Così non stato e non ci risulta che Mario Monti sia stato tra i fieri oppositori di un'impalcatura di chiara matrice monetarista che ha anteposto le ragioni della moneta alle legittime esigenze di equità sociale. Si dice che oggi i paesi europei dispongano di una moneta forte sui mercati ma, osiamo chiederci, a cosa serve se poi le tasche dei cittadini sono vuote?
Siamo tutti grati al premier per aver conferito al Paese la consapevolezza della gravità della crisi ma incombe a suo sfavore una chiamatà di correità in ordine alle cause che l'hanno determinata. La sacralità della moneta e del sistema bancario ha convinto l'opinione pubblica che esistano le "leggi di mercato" e che la crisi è "strutturale". In realtà, come ha insegnato Keynes, e come di recente ha ribadito Krugman, si tratta di una menzogna perchè le uniche, vere leggi sono quelle degli uomini. Per riaffermare questo primato, è necessario che la Politica riprenda le redini dei mercati e dell'economia imponendo norme di comportamento e sanzioni a tutti gli attori del sistema economico. In caso contrario, interi popoli resteranno alla mercé di pochi, grandi, potentati senza volto che avranno il potere di rendere inutili e prive di senso le attuali democrazie.

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