La minestra
politica
e il mestolo
comasco

  Non avrei mai pensato di vedere uscire di scena  in tre giorni Berlusconi e Formigoni». La sottilineatura di Luca Gaffuri, comasco ed emergente del Pd regionale, non tiene forse conto del fatto che in politica la distanza tra il gatto e il sacco e più ampia di quella teorizzata dal maestro Trapattoni. Tant'è che il Cavaliere ha innestato una mezza retromarcia e il governatore chissà...
Qualcosa di vero c'è, però. Anche a Como la politica sta in bilico sul crinale tra una Seconda Repubblica più terremotata del Pollino e una terza i cui contorni appaiano incerti quasi come quelli della provincia che verrà dopo la riforma riformata e risformata del governo Monti. In questo quadro da check point Charlie di berlinese memoria, si vede un gran traffico di facce. Gente che viene, gente che va, gente che tenta di restare a galla aggrappata a quello che trova.
Il simbolo del momento della politica comasca ha il sorriso timido ma deciso di Paola Maria Camillo, esponente del PdL, consigliere regionale per caso (o per altrui sicumera e impudenza), balzata alla ribalta nazionale per essersi rifiutata di aderire al diktat formigoniano delle dimissioni "dopo di me il diluvio”. Ma come, mi sono appena ambientata? Sembra dire questa involontaria anti Minetti che, altrettanto casualmente, le ha sottratto la luce dei riflettori almeno per un giorno. Del resto tra lei Rinaldin e Pozzi chi potrebbero volere libero oggi gli elettori del PdL?
D'altro canto, a Como il mestolo del rimescolamento aveva anticipato il vento nazionale. L'ultima tornata amministrativa ha cambiato radicalmente l'album delle figure di palazzo Cernezzi. In consiglio come in giunta si è presentata gente a cui i pur scafati commessi del municipio del (fu?) capoluogo, erano quasi tentati di chiedere le credenziali. In maggioranza, soprattutto e anche perché ex minoranza. Ma in parte anche nella nuova opposizione. Tanto per rimanere nel campo rosa senza bisogno di quote. Chi avrebbe scommesso sulla tenuta di Laura Bordoli, mandata allo sbaraglio del PdL come foglia di fico del disastrato dopo Bruni? Eppure è sempre lì sulle barricate, in prima linea. Come resiste alla grande l'erbese Marcella Tili, unico sindaco del principale partito di centrodestra sopravvissuta alla mattanza politica di maggio. Forte della vittoria si è pure permessa di rottamare il Cav prima di tanti altri capitani coraggiosi dell'ultim'ora.
Anche nella Lega, paradossale caposaldo leninista della scalcagnata Seconda Repubblica qualcosa si muove. L'alba di Maroni sta rischiarando il canturino Nicola Molteni, sfortunato antagonista nella corsa al sindaco di quel Bizzozero che si sta divertendo un mondo a vedere l'effetto che fa. Sul viale del tramonto sembrano avviati Leo Carioni (non a caso uno dei simboli della Second Banana Repubblic in salsa lariana) e la meteora bossiana Armando “Mandell” Valli. Per tacer di Tiziana Sala, sindaca canturina di cui si è persa ogni traccia.
E il Pd e dintorni? Detto della forzata trasfusione di sangue nuovo immessa dagli elettori comaschi, resta solo da vedere cosa sortirà dall'Armageddon tra Bersani e Renzi con i relativi cascami. L'impressione però è che l'apparente vulcano in sonno del centrosinistra comasco potrebbe anche far registrare qualche sussulto. Soprattutto se dovesse prevalere il putto fiorentino. Signori in carrozza, si cambia. Sperem, per dirla alla monzese.
Francesco Angelini

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