Brindiamo
pure
ma senza
champagne

  Va bene, prepariamoci a festeggiare Como capoluogo. Giusto con un prosecchino, perché un filo di soddisfazione se non di orgoglio c'è, nel tornare a guardare dall'alto verso il basso tutti insieme lecchesi, varesini e (forse) monzesi. Sensazione provata dai nostri nonni e che non dispiace nemmeno a noi, in fondo in fondo campanilisti e provinciali, almeno un poco.
Quella che si profila a Roma, dopo un mese di annunci e smentite, speranze alimentate e disilluse, è una maxi provincia di Como allargata a Varese e Lecco e con la sola incognita di Monza, la quale, comunque, anche se ne dovesse far parte, non ne sarebbe il capoluogo. L'annuncio in tal senso, assicurano un po' tutti, dovrebbe arrivare oggi da Palazzo Chigi.
Se così fosse, la si potrebbe tranquillamente chiamare vittoria. Infatti la chiama così il senatore Alessio Butti, che in questa operazione si è speso, ripagandosi di mesi assai scarsi di soddisfazioni dalle sue parti politiche. Ne vanta la paternità anche l'ex governatore (lecchese) Roberto Formigoni, già in apnea pre elettorale, dentro o fuori dal Pdl non si sa, nel tentativo di tornare nei cuori e nelle urne dei comaschi dopo le volatili promesse sul lungolago. Anche il Pd si metterà giustamente la coccarda, per l'impegno profuso soprattutto sul Pirellone mentre la Lega è rimasta alla finestra, forse per timore reverenziale nei confronti dei vertici varesini.
Ma pur plaudendo al ritorno dei figliuoli prodighi Varese e Lecco, e pur brindando allo scampato pericolo della bislacca soluzione di Monza capoluogo, non è il caso di andare oltre il prosecchino.
Porteremo a casa il capoluogo, è cosa buona e siamo d'accordo. Fosse andata in altro modo, saremmo qui a stracciarci le vesti parlando di comaschità tradita, di occasione persa, treno perduto, eccetera eccetera.
Prima di brindare con lo champagne, si dovrà coglierla, questa occasione: Como, per merito dell'unità di intenti ma anche del padreterno, diventerà punto di riferimento di un'area tra le più sviluppate del Paese ed è destinata a rimanerlo, se non altro perché molti uffici territoriali rimarranno qui. E, volenti e nolenti, varesini, lecchesi e brianzoli dovranno fare riferimento a Como. Un'opportunità ma anche una responsabilità.
Allargando il discorso, non è poi il caso di brindare perché questa operazione a lieto fine, non fa altro che evidenziare l'ennesima riforma all'italiana che parte per smuovere le montagne e sposta solo i sassolini. Che le Province fossero inutili lo si dice da decenni: una riforma seria e ragionata avrebbe dovuto portare al ridisegno delle competenze, al trasferimento dei compiti ai Comuni, i quali a loro volta avrebbero dovuto fondersi per creare entità meno frammentate, e in parte alle Regioni. Solo a quel punto le Province avrebbero potuto essere sciolte, con risparmi di risorse.
Sappiamo come è andata a finire: la mancanza dei tempi tecnici in Parlamento per procedere all'approvazione della legge costituzionale e i rischi politici che il dipendere da una maggioranza allargata avrebbe portato con sé, hanno convinto il governo a procedere con la riformicchia. Non più soppressione, ma soltanto una riduzione. E via con la processione di raccomandazioni e richieste per non accorpare qua e mi raccomando di là, e noi siamo unici e noi con quelli là non ci stiamo e via andare.
Como ne è uscita viva, a quanto pare. Ora veda di meritarselo.

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