La droga
a scuola
emergenza
educativa

Atti di bullismo legati allo spaccio di droga. Accade in una scuola media di Tavernerio e la denuncia arriva direttamente da un gruppo di ragazzi che, di questi episodi, sono stati testimoni. Sono andati dal sindaco e gli hanno affidato la loro preoccupazione, nonostante le minacce ricevute da compagni più grandi. E' un episodio che preoccupa ma che non deve stupire.
L'uso di droga tra i giovanissimi è un fenomeno noto da tempo. L'età si abbassa, l'inconsapevolezza anche. Non c'è più allarme sociale, di droga si parla sempre meno. Che si tratti di haschisc o di pasticche poco importa. Importa che il fenomeno è devastante per le conseguenze che può avere. E non può non destare allarme che questo fenomeno possa trovare terreno fertile dentro o sui cancelli delle scuole. La responsabilità non può essere addebitata solo alla scuola, ovviamente. C'è una responsabilità più grande che riguarda tutti noi.
Fino a qualche anno fa parlare di droga significava parlare di disagio, di esclusione sociale, di microcriminalità. Il fenomeno dava fastidio perché era davanti agli occhi di tutti. Poi gli occhi si sono chiusi e nessuno ne parla più. Ma basterebbe viaggiare dentro i luoghi dove i giovani vivono il loro tempo per capire che il fenomeno è ormai di massa, è diventato una sorta di rito collettivo per una generazione che fatica a rapportarsi, che ha difficoltà ad accettare e a vivere la realtà, la normalità delle cose. Che spesso ha paura ad assumersi responsabilità, che guarda al futuro con sospetto, che preferisce stordirsi per sentirsi forte.
Eppure basterebbe chiedere a questa massa di giovani se hanno la consapevolezza di quali conseguenze potrebbe avere sulla loro vita l'uso di droghe. Se si sentono dipendenti da una sostanza, se hanno coscienza di quanto sia fuorviante disegnare il proprio futuro con i colori di qualche pasticca. Le risposte negherebbero tutto e dimostrerebbero soltanto una drammatica inconsapevolezza della propria condizione.
La scuola, come tutti i luoghi dove i giovani vivono, non è indenne da questo pericolo. Che poi possa accadere in una scuola media è soltanto un elemento che dovrebbe far scattare, definitivamente, l'allarme. Ma a poco serve scandalizzarsi o magari convincersi che è impossibile. Può solo confortare che dei ragazzini avvertano il pericolo di questa situazione e decidano di denunciarla. Ma il loro coraggio deve destare la responsabilità di ciascuno di noi. Una responsabilità, prima di tutto, educativa. Dobbiamo ridiventare capaci di incontrare questi ragazzi, che sono figli nostri. Non avere paura delle loro paure, ascoltarli e soprattutto aiutarli a capire che la realtà può essere solo vissuta, sfidata. Che lo si può fare senza pasticche, cercando la compagnia di maestri che possano condividere con loro una strada. Spesso i nostri figli hanno paura della normalità, hanno paura ad affrontare le piccole cose, la vita quotidiana. Fuggono dalla responsabilità di dare un senso a tutte le cose. E così il futuro diventa buio e per stare a galla occorre qualcosa d'altro, un'illusione che apparentemente ti rende forte.
Hanno invece bisogno di maestri che li aiutino a spazzare le ombre, che gli indichino una strada sicura, che li aiutino ad affrontare la quotidianità, a capire che per vivere occorrono fatica e coraggio. Ecco perché di fronte all'episodio di Tavernerio sarebbe stupido, semplicemente, scandalizzarsi e poi fermarsi lì. E' solo un'occasione per richiamare in causa la responsabilità educativa di ciascuno di noi.
Massimo Romanò

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