Il meglio
della crisi?
Le aziende
solidali

  Ci ha feriti e ci stordisce con un senso di smarrimento crescente. Ma ci ha cambiati anche in meglio o ha rivelato il lato migliore che già è in noi. Questa crisi che ogni giorno si insinua con maggiore prepotenza nelle nostre vite, si è rivelata un banco di prova per la solidarietà. Uno specchio, dove quest'ultima ha deciso di non ritrarsi, bensì si è affacciata con una determinazione che racconta tanto del carattere della nostra provincia.
Ha il volto delle imprese che decidono di ricorrere ai lavoratori dell'Eleca per l'appalto del Sant'Anna. Un farsi carico degli altri, mandando più di un messaggio. Il primo: quel carico è lieve, perché stiamo parlando della professionalità e dell'esperienza di persone che in questi anni hanno dato tanto alla loro azienda. E che hanno lottato per difendere il loro posto e il loro futuro.
Il secondo si chiama senso di responsabilità: è giusto che chi ha lavoro, chi sta un po' meglio, si occupi di coloro che sono in difficoltà. Non è semplicemente toccato a loro e quindi si alzano le spalle sospirando che nulla si può fare. Chi ha la possibilità di compiere un gesto che sia in grado di alleviare il disagio altrui, è chiamato in causa. Giusto, doveroso, non scontato, rispondere a quel muto appello.
A Como la vicenda Eleca è servita a trasmettere questo segnale: la crisi non è un affare di pochi o tanti, è un problema di tutti e con questa convinzione si può combatterla con armi più efficaci. In fondo, si parla tanto di fare rete e questo è un modo alternativo, e non meno importante, di portarla avanti. La scelta delle imprese che realizzeranno la palazzina del Sant'Anna - appalto vinto da Eleca, prima dei problemi scoppiati  lo scorso luglio - è concreta e nello stesso tempo diventa simbolica. Perché non è isolata, tanti nel loro piccolo si sono mossi.
Eleca è riuscita davvero a mostrare non solo il lato buono dei canturini, dei comaschi, bensì il loro volto più autentico.
Il presidio dei lavoratori non è stato un grido inascoltato. Lo hanno raccontato gli stessi operai, i sindacalisti che sono rimasti al loro fianco. Lo scorso ottobre, quando la protesta si è spostata nel centro di Cantù, la gente non ha fatto finta di niente, tirando dritto per la sua strada. Al contrario, si è fermata ad ascoltare le testimonianze e a partecipare al dramma che in quel momento era più collettivo che mai.
Non chiedevano niente, i lavoratori, ma c'è chi ha lasciato un contributo. E comunque tutti hanno dedicato tempo e attenzione a ciò che era capitato a quegli operai, ma ha colpito o incombe su altri.
Un affare di tutti, la crisi. Un brutto affare, che lascia l'amaro in bocca come accade ogni volta che nelle cronache fa irruzione un nuovo caso di azienda in difficoltà. E se è vero che la solidarietà non aiuta a riottenere il posto di lavoro o a pagare il mutuo, sconfigge i primi alleati della crisi: la solitudine e la disperazione. Quando un uomo o una donna perdono la certezza di un'occupazione e di uno stipendio, pesa la ferita economica, ma anche quella psicologica. E travolge spesso tutta la famiglia. L'unica via di uscita è rendersi conto di appartenere a una famiglia allargata, per così dire. Quella dei tuoi colleghi, del tuo quartiere, della tua città.
Marilena Lualdi

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