Politica
a Como
e finestre
che ridono

  In questi giorni a chi passa in via Diaz a Como, può capitare di assistere a uno strano fenomeno. Si sentono ridere le finestre di una casa, come in un vecchio film di Pupi Avati. Lo stabile è quello che, negli anni '80, ospitava la sede provinciale della Democrazia Cristiana, emblema del potere politico lariano. Lì, terminò simbolicamente la Prima Repubblica comasca, nel giorno in cui un intraprendente giovane politico locale, tale Alessio Butti, andò a mettere i sigilli.
Un atto che sanciva il fallimento della politica locale. Vent'anni dopo, ci vorrebbe davvero la penna di Dumas per narrare come, a seguito del naufragio della Seconda Repubblica, quello stesso politico che smessi i panni del Gian Burrasca ha indossato grisaglie e lobbie senatoriali si ritrovi come nel Monopoli a ripartire dal via, da una formazione politica che per dimensioni e facce ricorda quel Msi-An d'antan.
Le finestre di via Diaz hanno ritrovato il sorriso, anche se è un riso amaro, di fronte al disastro della Seconda Repubblica comasca che è finita sotto il tavolo. I tavoli delle cene a base di tartufi e champagne di Giorgio Pozzi, uno che sembrava dovesse arrivare lontano. Invece non è neanche partito. Così come Gianluca Rinaldin, rimasto con le gambe sotto le tavolate a cui avrebbe invitato, a nostre spese, quasi duemila commensali. Per non parlare di quei leghisti che hanno trovato un'interpretazione del tutto originale del federalismo fiscale: quella di lasciare le risorse pubbliche in loco, ma nelle loro tasche a disposizione per pranzi di nozze delle figlie e ammennicoli vari. Qualcuno, come Leonardo Carioni, ha fatto pure un po' strada. Ma solo con l'auto blu. Punte di un iceberg su cui è stato facile far schiantare il Titanic della nostra politica di vent'anni di malgoverno del territorio con poche eccezioni tra cui, per onestà, va indicata la prima amministrazione di Alberto Botta.
Alla fine, questa Seconda Repubblica comasca, è diventata impossibile da digerire. Non che nella Prima non si mangiasse. Anzi, nella casa delle finestre che ridono di via Diaz, così come in altri edifici che ospitavano le sedi di partito se ne sono fatti di pranzi. Specie negli anni di quella Milano da bere che in fondo stava a un tiro di schioppo da qui. La differenza forse sta nel fatto che allora, oltre a riempirsi la pancia si pensava anche a mettere via qualcosa per gli altri, per la collettività. Oggi sembra di trovarsi di fronte a voraci crepuloni che spazzolano via tutto. E alla fine non cade neppure una briciola dal tavolo.
Sarà per un fatto di cultura politica differente, sarà perché anche dalle nostre parti ogni elezione vinta è stata vissuta come una scalata a un'azienda: un'Opa per cui si sono considerate le istituzioni come proprietà private.
Sarà per questo che la Prima Repubblica comasca qualcosa ha pur lasciato: la passeggiata di Villa Olmo, la zona pedonale e i vincoli urbanistici che hanno preservato dagli scempi la Città murata, il Tessile di Como che ha contribuito allo sviluppo economico del territorio. L'eredità della Seconda Repubblica è fatta invece per lo più di macerie: quelle della Ticosa, il cantiere delle paratie, la tangenziale monca, una gestione dell'urbanistica che ha eruttato cemento a go go senza uno straccio di programmazione. La politica che avrebbe dovuto gestire la trasformazione economica di Como in funzione del turismo ha pensato bene di occultare il lago, cioè la principale attrazione cittadina. Chapeau.
I signori della Terza Repubblica comasca che hanno conquistato le istituzioni più per demerito di chi le ha lasciate che non per virtù proprie, possono accampare alibi a bizzeffe: l'eredità disastrosa, la crisi economica, i tagli dei trasferimenti, le cavallette, ecc... Ma questi non sono tempi di alibi. Se il gioco è duro i duri devono essere capaci di giocare. L'augurio per il 2013 è che Como non debba attendere anche la Quarta Repubblica. E che le finestre smettano di ridere.
Francesco Angelini

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