La notizia lascia tutti increduli e stupiti, perché è rarissimo che ciò avvenga e il ricordo di molti va alla drammatica e sofferta resistenza di Papa Wojtyla, che ha voluto fino all'ultimo essere a capo della sua Chiesa. Due modi diversi di essere Papa, che però non possono essere posti in contrapposizione, perché entrambe queste scelte hanno avuto bisogno di grande, immenso coraggio: quello di Giovanni Paolo II di vivere con grande serenità e consapevolezza la sofferenza chiedendo la forza al mondo e a Dio; quello di Benedetto XVI di ammettere la propria fatica, la mancanza di quel vigore necessario a condurre la Chiesa di oggi, un tempo e un momento storico particolarmente difficile.
Proprio per questo motivo diventa impossibile giudicare la scelta del Pontefice di lasciare il suo incarico alla fine di questo mese, scelta che deve essere costata molto a Benedetto XVI che nel discorso ha detto di aver "ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio", in un colloquio spirituale profondo. Passata l'incredulità, l'annuncio del Papa assume un carattere di estrema umiltà, quella di riconoscere la sua fatica fisica, il fatto di essere "pervenuto alla certezza che le mie forze, per l'età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino". Non equivale ad un "gettare la spugna", come molti potrebbero pensare, questa scelta così importante, ma a progettare un nuovo futuro per la Chiesa. Non essendo più in grado di far fronte alle grandi questioni che la contemporaneità pone, il Papa preferisce farsi da parte, non porre ostacoli o rallentamenti al processo di rinnovamento di cui la Chiesa di oggi ha bisogno per continuare nella sua opera di evangelizzazione.
Il Papa, con questa scelta, ammettendo la sua fragilità che non gli permette di rispondere al meglio alle richieste di un mondo contemporaneo sempre più in frantumi, mostra tutta la sua umanità e al contempo la responsabilità della sua azione. Nelle poche parole che Benedetto XVI ha pronunciato oggi ci sono tutte le risposte che il mondo incredulo si pone: basta leggere con attenzione le sue parole tradotte dal latino. Le motivazioni sono quelle di un uomo che si sente debole di fronte alla possibilità di continuare al meglio nel suo mandato e che, di fronte alla situazione di immobilismo che potrebbe crearsi, sceglie non se stesso, ma il bene della Chiesa, il suo sviluppo, la sua crescita. Questa scelta, di fatto personale, dimostra quanto a volte sia necessario rinunciare al proprio ruolo, per evitare derive e danni a ciò che si rappresenta. L'amore di un Pastore verso la sua Chiesa si dimostra anche attraverso le rinunce: questo ha fatto Benedetto XVI, una scelta sofferta e coraggiosa, ma all'insegna dell'amore.
Seguiranno senz'altro, nei prossimi giorni, i giochi delle dietrologie, la caccia ad intrighi e sospetti, ma questo a noi non interessa. Ci bastano le parole della "rinuncia", così partecipi e sentite, responsabili e oneste, del Pontefice a spiegare: "Nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell'animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato".
Fulvio Panzeri
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