E la verità vera? E la diretta streaming che tutto avrebbe svelato del marcio della politica? E la sacralità del web, unico monolito a cui abbeverarsi come fonte primigenia di salvezza? E la democrazia senza filtri che si incarna nel suo farsi?
Che fine ha fatto la democrazia democratica che democraticamente democratizza? La mitica politica dei nuovi e dei puri, quella che grazie al Movimento 5 Stelle avrebbe dovuto presentarsi, senza più intermediari e adulterazioni, davanti a noi telespettatori cellulitici e smaliziati? Non doveva manifestarsi l'apoteosi della vita nel suo svolgersi, il flusso di coscienza catodico, la fenomenologia del dettaglio attraverso cui il web si sarebbe trasformato nell'occhio impassibile del narratore verista che tutto sa, tutto vede e tutto codifica? E invece…
Si è tanto scritto sul vertice in streaming tra il povero Bersani e gli inadeguatissimi capigruppo grillini ed è stato facile per i notisti più acuti sottolineare quanto sia risibile l'idolatria di una tecnica, lo streaming appunto, superata da anni, quasi quanto i blog, considerati dal massmediologo Gianluca Nicoletti un mezzo arcaico al quale ci si appassiona ancora solo in un Paese provinciale come il nostro. Ma queste sono le miserie della politica, vecchia e nuova. Portando il tema su un binario tutto e solo culturale, invece, la presunzione ideologica del mondo grillino - riprendere per la prima volta la realtà senza filtri - è sì interessante, ma fallimentare.
Innanzitutto, non è vero che la responsabilità dello snaturamento dei protagonisti di quella diretta e del loro appiattimento su un canovaccio credibile come quello di una telenovela di Rete4 sia attribuibile solo alla presenza delle telecamere, alla coscienza di essere ripresi. E che se invece si riuscisse a filmare la vita delle persone senza che queste lo sappiano allora sì che l'esperimento riuscirebbe per davvero. Non è così, perché la realtà, la vita vera, la vita di tutti i giorni, non esiste. E se esiste è inconoscibile. E se è conoscibile è incomunicabile. Si nasce soli, si vive soli e si muore soli, questa è la verità. E se anche si attivassero migliaia e migliaia di telecamere pronte a sminuzzare e archiviare anche il più insignificante atto di ogni giornata del più prevedibile e massificato degli uomini, la sua esistenza rimarrebbe celata, a noi guardoni ingaglioffiti sul divano, come l'Iperuranio di Platone. Quelli che sbirceremmo grazie a quel cervellone di Vito Crimi sarebbero solo atti meccanici, espletazioni fisiologiche, ombre lattiginose prive di significato. E infatti oggi, dopo un mese di crisi di governo, non sappiano un bel nulla di cosa passi nella testa della cittadina Roberta Lombardi così come, tanto per dire, in quella del più noto designer del Salone del mobile a proposito delle ultime tendenze "shabby-chic".
Ma è inevitabile. A noi piace immaginare un'espressione consona per ogni momento topico della nostra vita: un bacio appassionato sulla spiaggia al tramonto quando si è innamorati, una solitudine pensosa scrutando il temporale all'orizzonte mentre ci monta dentro l'indignazione per la pochezza degli uomini, il demone della creatività rifulgere sulle nostre sudate carte quando si scrivono pagine inutili (come questa), un sorriso malinconico riandando ai bei giorni della giovinezza che fu… E invece non è mai così. Il peggio e il meglio di noi si alternano e si ingarbugliano e si annodano incessantemente senza che dal di fuori si percepisca nulla. I moti del nostro animo sono segreti. E non esiste telecamera che li possa scandagliare. Forse per strada si leggeva in faccia a Raskòlnikov, per quanto fosse "teso e irritabile", che di lì a poco avrebbe picozzato due vecchiette? E siamo sicuri che Napoleone abbia azzeccato la strategia di Austerlitz dopo una notte insonne e non mentre inzuppava il pane nel caffelatte? Chissà, magari Leopardi ha eternato Silvia dopo essersi grufolato un dito nel naso e a Puccini è balenata l'aria di Musetta nel bel mezzo di uno sbadiglio e Fellini ha ideato i suoi (pochi ) capolavori stravaccato in branda e i suoi (tanti) bidoni dopo pensose riflessioni sulla caducità dell'essere e chi lo sa se Berlusconi non credesse davvero nella rivoluzione liberale (ah ah) e così pure Benigni quando giurava di non aver scopiazzato il suo ruffianissimo "La vita è bella" da quel capolavoro di "Train de vie"? O forse no. O forse solo in parte…
I nostri geni e i nostri demoni sono così capricciosi da apparire quando gli viene il ghiribizzo, senza che sul nostro volto ne baleni la presenza. Quanti "ti amo" abbiamo sussurrato o scribacchiato su un telefonino pensando già a un'altra e con quante maledizioni abbiamo seppellito chi per noi ha significato davvero tutto e quanti tradimenti e falsità e incomprensioni e bassezze, senza che in superficie trasparisse mai nulla o, addirittura, il suo contrario? Uno, nessuno, centomila, come tanti minuscoli Pirandello. Aveva proprio ragione quello là: non servono tragedie o dolori immensi, basta un granello di sabbia sotto un'unghia per farti sentire il male di vivere.
Esiste un solo modo di rappresentare la realtà: trasformarla in metafora. È solo rielaborando e assolutizzando la vita che se ne può cogliere l'essenza, arrivare forse alla verità. Perché lì - nella Natasa di Tolstoj o nel grido di Munch o in un notturno di Chopin, ma anche in qualche puntata di The Follower o Six Feet Under - c'è già tutto, tutto quello che importa veramente nella nostra esistenza - l'amore, l'odio, la disperazione, la meschinità, le emozioni, la solitudine, il piacere futile di una risata, il demone del potere, la carezza della pietà - sfrondato dai cascami del quotidiano e reso così immanente che chiunque, a ogni latitudine e in ogni epoca, può ritrovare proprio lì un pezzetto - il più profondo, ma forse anche il più superficiale - di sé. La verità è di un altro mondo, cari grillini, e quel mondo non usa il web.
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