Andreotti: un secolo
e un’altra politica

Quanto sarebbe divertente vederlo ancora seduto in Senato, mentre i governanti parvenu inanellano i loro strafalcioni al suo cospetto. Lui che, in politica, non ha mai sbagliato un concetto, una citazione o una battuta. Dopo aver ricevuto il soprannome di “Belzebù”, ci si aspettava che Giulio Andreotti fosse destinato all’eternità: Senatore a vita eterna. Invece se n’è andato chissà dove con il suo solito stile felpato nel 2013, in piena e già declinante Seconda Repubblica. E quel giorno, era il 6 maggio, con lui è stata sepolta in via definitiva la Prima.

Oggi avrebbe compiuto 100 anni, un’età, tutto sommato, di questi tempi, non irraggiungibile. Anche per lui che si era sempre vantato di non aver mai fatto moto o sport e di aver visto morire tutti i conoscenti che lo praticavano. Non sono previste commemorazioni ufficiali, figuriamoci, con l’aria che tira nei palazzi della politica se viene voglia di ricordare uno che rappresenta magari anche nel male la perfetta antitesi di chi ci governa. A farci memoria del suo passaggio terreno e parlamentare resta il segno della gobba lasciato sulla sua poltrona a palazzo Madama.

Nell’era della partitocrazia, il divo Giulio ha comunque rappresentato un’anomalia. Non è mai stato segretario né ha occupato cariche di particolare rilievo nella Dc. E per un bel po’ è riuscito anche a fare a meno di una sua corrente che poi, specie per quanto riguarda gli adepti siciliani, gli avrebbe procurato un bel di po’ di problemi di natura giudiziaria, da cui è uscito indenne pur con la pesante ombra della prescrizione per le accuse di mafia. Le stesse ombre che gli sono costate il Quirinale nel giorno in cui Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli uomini della scorta del giudice anti mafia saltavano in aria a Capaci. Quella del Colle più alto è una maledizione che ha visto spiaggiarsi tutti i grandi leader politici da Fanfani, a Forlani a, con la sua tragedia, Moro, a Nenni (a scapito di Saragat capo sì ma del minuto partito socialdemocratico), e poi, dopo Andreotti, D’Alema e lo stesso Berlusconi. Porte aperte invece a tante figure eminenti ma non centrali nella vita politica. Sarà per questo che Giuseppe Conte nutre ambizioni per il dopo Mattarella? Ma per tornare a Giulio, il suo ideale ingresso nella terza cifra della vita smentisce un reiterato detto della politica degli ultimi 30 anni. Perché proprio di questi tempi scopriamo che non è vero che “moriremo democristiani” come si pensava anche dopo l’avvento di Berlusconi e della Seconda Repubblica, orfana di quella grande Balena Bianca che aveva monopolizzato la Prima. Come sottolinea Massimo Franco, il principale biografo di Andreotti in uscita con l’aggiornamento dell’opera che ha in gran parte ispirato il non riuscitissimo film che Paolo Sorrentino dedicò a un Divo Giulio ancora vivente (si salva la grande interpretazione di Toni Servillo), Andreotti appartiene al passato, all’epoca del fronte anti comunista e della Guerra fredda. Il giornalista del Corriere ricorda come il sette volte presidente del Consiglio ce l’avesse con Silvio Berlusconi per aver trasmesso sulle reti Mediaset il Grande Fratello e si chiede come si sarebbe trovato oggi con uno dei protagonisti di quel programma, Rocco Casalino, in veste di portavoce dell’inquilino di palazzo Chigi. Questo per far capire quanto marchi le distanze l’epopea politica di Andreotti da quella attuale. Lui, allievo di De Gasperi, padre fondatore dell’Europa che pensava a prevenire il ritorno della devastante epoca dei nazionalismi e dei totalitarismi vissuta dallo statista e che aveva portato il mondo alla catastrofe della Seconda Guerra Mondiale. E allora c’è da chiedersi oggi, mentre soffiano venti carsici di una nuova guerra fredda, come si schiererà l’Italia sovranista e populista e chi la difenderà dal nemico come ha fatto per oltre 40 anni e maturando una fortissima rendita di posizione, quella Dc di cui Andreotti, sul versante della politica estera e dei rapporti oltre confine era l’indiscusso numero uno. Perché una delle massime più note del Divo-Belzebù, logorato solo dalla fine di un potere che non aveva più, era che “è sempre meglio tirare a campare che tirare le cuoia”. Vale la pena di meditarci.

@angelini_f

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