Anziché le statue
copriamo i politici

A noi italiani toccateci tutto, ma non la cultura. Linfa vitale del belpaese, carne della carne del nostro essere cittadini del mondo, radice profondissima della nostra identità, della nostra beltà, della nostra maestà, della nostra superiorità rispetto al resto delle terre emerse. E guai a chi la tocca, la cultura, e a chi la deturpa con la mota del brutto, del rozzo, del volgare.

E se è così – siamo o non siamo un popolo di eroi, poeti, santi, navigatori ma, soprattutto, artisti incompresi? – la sesquipedale, grottesca, incredibile censura alle statue dei musei capitolini, ricoperte da un Fantozzi, da un Filini, da un Calboni, da una servitù servilmente serva con dei pannelli controriformisti perché le nudità marmoree non turbassero i sonni del presidente iraniano Hassan Rohani in visita a Roma, non poteva che essere seppellita dagli insulti, dai motteggi, dalle sghignazzate salaci, procaci e mordaci di mezzo mondo e di tutti i nemici del premier, finalmente uniti nel colpire un paese talmente assetato dei miliardoni degli ayatollah da prestarsi allo zerbinaggio più comico e magari neppure sollecitato.

E in effetti la sequenza è da antologia, una sceneggiatura alla Flaiano, alla Longanesi, inossidabile filo rosso che in quel gesto ridicolo racchiude tutti i crismi, tutte le stigmate di un popolo vile da duemila anni, nato per farsi comandare, per farsi dominare, per farsi vessare dal primo che passa, nazione invertebrata, parassitaria come una giardia, mollusca, strisciante e questuante, cialtrona, buffonesca, pagliaccesca, albertosordiana, petroliniana e quindi, proprio per questo, immorale, amorale, cinica, menefreghista, smidollata. Insomma, la solita italietta da due lire. E così, da lì in poi, su giornali, televisioni e soprattutto sul web, sono stati giorni di avanspettacolo. Tutti a ululare e a sbraitare e a trombonare che era una vergogna e uno scandalo e una schifezza e giù a ridere e a sghignazzare delle panzane proferite nei mesi scorsi dal leader cacciapalle – “un euro in cultura per ogni euro in sicurezza” (ah ah!), “la bellezza è più forte della barbarie” (ah ah!!), “l’Italia non va più in giro con il cappello in mano” (ah ah!!!) - lui con il suo ministro della Cultura romanziere fallito e la sua corte di tirapiedi senza né arte né parte e servi dei poteri forti e servi della Trilaterale e servi del petrolio e servi degli speculatori e servi della massoneria e servi dell’Islam e il David di Michelangelo in mutande e la Venere di Milo con il reggipetto a balconcino e l’Afrodite esquilina con il burqa e il Dioniso con i braghettoni democristiani e giù piroette e capriole e schiaffi del soldato e gare di rutti e barzellette da caserma sugli attributi sventolanti della Cappella Sistina e via così, come in osteria alla domenica sera dopo la partita.

E se è spassoso pensare a questo governo di poveretti e di quaquaraquà, che si affanna a coprire le statue nude per sbavare sul potente di turno, salvo poi giocare all’io non c’ero e se c’ero dormivo e se dormivo sognavo di non esserci, fino a scaricare tutte le colpe sul malcapitato funzionario forforoso di turno per esporlo al pubblico ludibrio – “ha fatto tutto di testa sua!”- prima di spedirlo in pensione anticipata a calci nel sedere, il pasticciaccio brutto ha iniziato a trascolorare nel grottesco quando si è sbirciato tra i curricula delle voci critiche. E cioè tra i leader (?) del centrodestra unito, noto rassemblement di politici thatcheriani, filosofi ermeneutici e soprattutto, preclari storici dell’arte, ai quali non è sembrato vero di uscire almeno per un giorno dalla condizione boccheggiante di inutili frattaglie dell’ex impero berlusconiano in disfacimento, per recuperare uno straccio di visibilità sulla piazza mediatica dopo mesi di schiaffi, ceffoni e manrovesci rifilategli dal presidente del consiglio più furbo, doppiogiochista e feroce della storia repubblicana.

Ora, non è il caso di ironizzare sul tasso di attenzione alle politiche culturali e turistiche dei recenti circensi governi di centrodestra – che a ricordare il nome, e soprattutto la faccia, di certi figuri finiti al ministero ci sarebbe da chiamare la buoncostume - quanto invece constatare come questa, che dovrebbe essere l’opposizione al nuovo regime del partito della nazione e rappresentare il nerbo, il fulcro, la pietra d’angolo della cultura occidentale, liberale, libertaria e liberista, custode della storia repubblicana e figlia del meglio della schiatta illuminista e bla bla bla si sia infiammata solo per la figuraccia delle statue. Mentre invece, appena un giorno prima, non aveva fatto un plissé sulle cerimonie riservate dal nostro governo al capo supremo di uno Stato che tortura e uccide gli oppositori politici, impicca i gay attaccandoli alle gru a godimento e pedagogia del popolo bue, lapida le donne adultere e, giusto per concludere in bellezza, non riconosce lo Stato di Israele, che tanto è da sempre la sentina dell’umanità e che quindi chiunque può prendere a calci a piacimento. Statisti.

Abbiamo un grande centrodestra. E abbiamo pure un grande centrosinistra. E questo perché il servilismo è patrimonio dell’intera nazione, grazie al quale nella nostra repubblica dello zafferano si stravolge e si riduce a burla la logica drammatica della ragion di Stato. Fare affari con paesi autoritari come Iran, Cina e Turchia, per non parlare della Russia putiniana e della Libia di Gheddafi, così care alle vacanze diplomatiche da film dei Vanzina di Berlusconi, giusto per fare un esempio, può rivelarsi un obbligo doloroso per aprire nuovi mercati alle nostre aziende e tenere in piedi la nostra fragile economia. Ma se è così, ed è così, basta dichiararlo in maniera chiara, responsabile e adulta – d’altra parte anche in tanti Stati degli Usa vige ancora la pena di morte –, senza ridursi a fare i servi della gleba o i farisei da operetta come un Renzi o un Salvini qualsiasi. Forse sono loro quelli da ricoprire.

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