Campagna elettorale
sulla pelle di Como

Se la situazione del lungolago non fosse tragica ci sarebbe da seppellirli tutti con una risata omerica. In primis il presidente della Regione Lombardia, Roberto Maroni. Da quanto tempo covava il colpo di scippare la patata bollente del cantiere per le paratie al Comune di Como? Ci sarebbero dei carteggi in metatesto che potrebbero dire tante cose in proposito. Una mossa che il numero uno di palazzo Lombardia avrebbe potuto fare tre anni fa, quando ereditò la poltrona di Roberto Formigoni (che almeno il muro della vergogna sul lungolago l’aveva tirato giù) ed era già evidente l’impaludamento dell’amministrazione comunale di Como e di Mario Lucini. Forse avrebbe risparmiato al Comune e alla città la devastante vetrina seguita al trascorrere invano del tempo, al contrasto tra palazzo Cernezzi e l’anticorruzione di Cantone a quello tra Provincia e Municipio e magari anche all’inchiesta giudiziaria che ha portato agli arresti dei pluripremiati dirigenti Ferro e Gilardoni e al sindaco indagato.

Certo, anche se tutti lo negano, c’è voluta l’iniziativa delle cartoline messa in campo da questo giornale e alimentata da 60 mila comaschi che ha attirato l’attenzione del governo sullo scempio politico-amministrativo che si è compiuto per otto anni sulle pelle di Como e del suo lago e dato una scossa-

Ma tutto fa pensare che a Milano siano stati calcolati con cura i tempi. Intervenire prima, con le elezioni comunali e regionali ancora lontane, non avrebbe portato benefici. Si sa che la gente dimentica in fretta.

Dite che a pensare male si fa peccato? Senza disturbare Andreotti il fatto che il presidente della Regione intenda percorrere la strada della terza variante e non quella indicata da Cantone e dal governo per la revoca dell’appalto può confermare che spesso ci si azzecca. Perché la seconda via prevede, prima di vedere qualcosa di concreto, tempi che vanno ben oltre l’appuntamento con le urne. La prima, certo più accidentata, è anche più rapida. Ma proprio i rischi connessi a questa scelta fanno credere che, ancora una volta, gli interessi della città siano piegati a quelli della peggior politica.

E se Maroni ci ha messo del suo, non che dall’altra parte l’andazzo sia diverso. Non è magari un “tacon peggio del buso” ma quasi, l’uscita del capogruppo comasco del Pd, Luca Gaffuri, che. in risposta al blitz del presidente afferma che le paratie sono un’opera voluta dal centrodestra comasco e lombardo a cui Lucini, quando sedeva sui banchi dell’opposizione, era contrario. E la domanda qui potrebbe farla anche uno scolaretto delle elementari: se non la voleva, perché una volta conquistata la poltrona da sindaco ha voluto ultimarla. E perché il principale partito della sua maggioranza non lo ha indirizzato su questa scelta? La risposta sarebbe tutta una serie di distinguo e birignao sui fondi della legge Valtellina e sui costi che la città avrebbe dovuto pagare in caso di rinuncia alla paratie e di ripiegamento su una semplice sistemazione del lungolago. Ora, a parte che sulla storia di quest’opera non ce l’hanno mai raccontata giusta e che se alcuni corridoi di palazzo Cernezzi potessero parlare ne verrebbero fuori delle belle, adesso Como dovrà comunque saldare un conto con ogni probabilità più salato di quello dello stop all’intervento. E con la prospettiva di attendere ancora anni per rivedere il lago.

La verità è che su questa opera hanno fallito in maniera fragorosa sia il centrodestra sia il centrosinistra. Magari qualcuno anche in buona fede. Ma purtroppo non si può rifare il lungolago foderandolo di buone intenzioni.

E il fatto che, anziché vergognarsi, ritirarsi in buon ordine e favorire un intervento risolutore del governo, ora sulle macerie di cantiere si voglia speculare, da entrambe le parti, per la campagna elettorale, è qualcosa che va davvero al di là del bene e del male. Il peggior cinismo della politica più deteriore. Sulla pelle di Como e dei comaschi.

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