Céline e il demonio
che è dentro ogni uomo

Louis-Ferdinand Céline sta alla storia della letteratura come l’Olanda del 1974 a quella del calcio. C’era un calcio prima dell’Olanda e ce n’è stato uno dopo, c’era una letteratura prima di Céline e ce n’è stata una dopo. Dopo Michels e Cruyff non si è più potuto giocare a pallone come prima, dopo il “Viaggio al termine della notte” non si è più potuto scrivere come prima.

La svolta. La frattura. La rivoluzione. L’annientamento del passato. La distruzione dei vecchi schemi dentro un mondo allucinato che brucia la tradizione, le certezze, gli approdi. Con tutti i rischi mortali che portano con sé i visionari, i veggenti, gli esploratori, i masnadieri. Quell’Olanda giocava così bene che si è dimenticata di vincere. E infatti ha sempre perso la finale dei mondiali: prima con la Germania, poi con l’Argentina. Céline ha scavato dentro il cuore immondo del Novecento e dell’uomo, ma così facendo ha sbattuto mani e piedi sul tavolo e squadernato tutto il peggio che cova dentro la nostra cultura, la nostra storia, il nostro foro interiore. Brutto trovare uno che ti svela come sei veramente, non è così?

Proprio per questo motivo è gravissima la decisione della prestigiosa casa editrice francese Gallimard, dopo settimane di furibonde polemiche e di inconfessabili pressioni politiche, di non ripubblicare i pamphlet antisemiti dello scrittore - “Bagatelle per un massacro”, “La scuola dei cadaveri”, “La bella rogna” - perché, considerata la “mancanza di condizioni di serenità”, sarebbero visti come un’istigazione all’odio razziale in una stagione di antisemitismo montante. Bene, questo è il peggiore degli errori, un atto di censura che impedisce la conoscenza di testi centrali per la comprensione del secolo appena concluso con il paradosso che a Céline - autore gigantesco, pietra miliare della letteratura del Novecento - venga negato quello che è stato invece “giustamente” concesso a Hitler, visto che due anni fa in Germania è uscita un’edizione critica del “Mein Kampf”. Céline più pericoloso di Hitler. Tutto vero.

Ora, chiunque abbia letto “Bagatelle per un massacro” - pubblicato in Italia da Guanda nel 1981 e subito ritirato dal mercato - non può non cogliere l’importanza, oltre che la magnificenza stilistica, di questo libello che contiene tutto il suo meglio e, quindi, anche tutto il suo peggio. La prosa ossessiva, allucinata, ellittica, iperbolica, iraconda, la disarticolazione delle frasi, la distruzione di qualsiasi codice comunicativo e l’annientamento delle basi della cultura occidentale che passa - questo il punto intollerabile per noi anime belle - attraverso un filo rosso che fa da trama alla nostra storia: l’antisemitismo.

Leggere “Bagatelle” è un’esperienza sconvolgente: trecento pagine di bile e odio e vomito e maledizioni contro l’ebreo, che sono la stessa bile e odio e vomito e maledizioni che hanno attraversato tutti i nostri secoli, tutti i nostri ghetti, tutti i nostri pogrom per assumere infine dimensione tecnica, plastica, pianificata, industriale nei campi di sterminio. Perché l’antisemitismo non è stato un evento occasionale partorito da alcuni cattivoni, apparsi e scomparsi come i celebri Hyksos di Benedetto Croce, ma invece l’esatto contrario: carne e polpa e sangue della nostra società, tanto è vero che Céline ha riportato sulle pagine il pensiero comune del bravo francese medio. Censurarlo significa non voler capire come mai il Novecento abbia prodotto, a furor di popolo, il comunismo e il nazismo e continuare a tenere lontani i sensi di colpa.

Céline è un genio visionario che metaforizza nell’ebreo la massima espressione dell’uomo in quanto tale. L’uomo nudo, disgustoso, assoluto. E Céline odia l’uomo, lo detesta. L’odio nei confronti dell’umanità, il nichilismo iracondo e selvaggio e vertiginoso è la cifra, la chiave di lettura di tutta la sua opera, da “Morte a credito” alla “Trilogia del Nord”. Cèline è contro l’Ebreo perché l’Ebreo è l’Uomo. E lui è contro l’umanesimo, contro la cultura umanistica, la sua scrittura, che infatti disintegra con i dialettismi dell’argot. Il suo delirio narrativo, letto sotto questa luce, diventa una guida formidabile per capire, attraverso le pagine di schifoso e intollerabile antisemitismo, cosa è stato il Novecento, che ha covato dentro di sé i peggiori demoni, che sono gli stessi che ogni essere umano cova dentro di sé. C’è il demonio dentro il Novecento. C’è il demonio dentro la storia dell’uomo. C’è il demonio dentro ogni singolo uomo, questa è la verità.

E pensare che un autore che già nel 1937 - nel 1937! - aveva capito tutto e denunciato la dittatura del pensiero unico, della casta sugli ultimi, della massificazione dell’esistenza, possa ispirare quelle macchiette neonaziste di casa nostra o gli inquietanti movimenti xenofobi che gorgogliano in Europa è risibile, perché di ben altri livori si nutrono.

Ma la cosa più grave è un’altra. La censura è una bestia infida. Oggi si censura Céline perché è antisemita. Quindi domani Heidegger o Wagner, antisemiti come lui? E pure lo Shakespeare di Shylock? E dopodomani Dostoevskij, visto che legge il mondo attraverso l’omicidio e il parricidio? E fra tre giorni censuriamo le pagine violentissime e sanguinolente della Bibbia e della “Divina Commedia”? E poi, chi lo decide? La bicamerale del Pd e di Forza Italia? Il grand jury del politicamente corretto? Il golden globe degli editori e degli insegnanti à la page? L’ordine dei giornalisti tromboni? Chi si mette in cattedra a dirci cosa dobbiamo leggere e cosa no? Siamo bambini? Siamo pupazzi? Siamo interdetti? I farisei del perbenismo amano plagiare una società di cicisbei a cui regalare letture edificanti, lacrimucce a comando, pensierini azzimati.

Ma qui nessuno è più un bambino. Non si censura niente. Si legge tutto. Si decide da soli. Quando nella libreria di casa nostra avremo tutti quanti le “Bagatelle” e il “Mein Kampf” accanto a “Il capitale” e al Corano allora non saremo più pecoroni. Saremo uomini liberi.

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@DiegoMinonzio

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