Como e Cantù
Il motore in panne
della destra

Dopo il Triplete di Como, Cantù ed Erba alle elezioni del 2017, la macchina da guerra del centrodestra, magari non gioiosa come quello di Achille Occhetto, ma competitiva e vincente, è andata in panne. Dei tre cilindri del motore, solo quello erbese sembra marciare a pieno regime. Il pezzo canturino ha sbiellato e dovrà essere sostituito. A Como si registrano ingolfamenti e incrinature che rallentano di brutto la corsa. Il paradosso è che la situazione per quanto possa apparire più o meno seria, è tutt’altro che grave per l’alleanza di quello che oggi si chiama centrodestra tradizionale dopo la virata governativa romana della Lega. Almeno se si guarda dall’altra parte del campo dove c’è un centrosinistra che non tocca palla e non si capisce se e quando riuscirà a tornare in gioco.

In casa di chi governa però ci sono parecchi panni sporchi, finora rimasti più o meno nella penombra della famiglia ma che adesso devono giocoforza arrivare alla luce. C’è il caso Cantù, città da oggi senza sindaco dopo la stra annunciata sentenza sfavorevole ad Edgardo Arosio tradito negli affetti di famiglia. Il fatto che il primo cittadino abbia preso con una sportività decoubertiniana lo sfratto dalla poltrona stupisce, ma non troppo. Perché, comunque vada, la palla è sempre in possesso della Lega che, forte del crescente diluvio di consensi, può permettersi di uscire con pochi danni anche da questo brutto sfondone politico che si sarebbe potuto evitare. Il partito di Salvini e del pro console sottogretario Molteni, infatti, in caso di elezioni a questo punto inevitabili, è solo questione di tempo, potrebbe portarsi a casa tutto il piatto o una buona parte di esso e ritrovarsi gli alleati di Forza Italia con il cappello in mano. Tutto almeno sulla carta e sondaggi alla mano. Resta, in carico ai gruppi dirigenti dei tre partiti della maggioranza canturina (c’è anche Fratelli d’Italia) la pesante responsabilità di lasciare per mesi la città paralizzata. Ma saranno gli elettori a giudicare tutta la faccenda.

Diversa ma un po’uguale la situazione di Como. Anche in questo caso la debacle di sindaco e Giunta sulla stazione appaltante unica con l’amministrazione provinciale era stra annunciata. Il mal di pancia all’interno di Forza Italia si poteva più gestibile con il Maalox e doveva pur sfogare in qualche modo. Troppo poco collegiale la gestione del primo cittadino, chiuso nella fortezza del suo cerchio magico in rosa, quella città delle donne le cui chiavi sono gelosamente custodite dall’assessore al Personale, Elena Negretti, e dal vice sindaco e parlamentare della Lega, Alessandra Locatelli. La detonazione azzurra, innescata anche dalla nomina in Acsm-Agam di Marco Rezzonico, fedelissimo di Landriscina, era diretta proprio contro il fortilizio.

Si vedrà se avrà aperto almeno una breccia. Il primo cittadino del capoluogo, in questo anno di guida dell’amministrazione, ha lanciato segnali contrastanti: abulia e determinazione, annunci di non volersi ricandidare poi smentiti, fino al messaggio lanciato dal bunker dopo l’affondo del fuoco amico: così non so se si andrà avanti.

Niente di nuovo sotto il bel sole di Como. I corti circuiti tra sindaco e maggioranza fanno parte della storia recente: dal secondo mandato del compianto Alberto Botta, a quello di Stefano Bruni e in parte durante il governo di Mario Lucini con una parte del Pd e non solo, che si era messa di traverso.

La colpa è anche delle leggi. Quella sull’elezione diretta del sindaco, non a caso varata in piena Tangentopoli nel populistico furore anti partitocratico, fa si che il primo cittadino non sia più soggetto al controllo vincolante dei partiti e dei gruppi consiliari di maggioranza e anzi sia lui a tenerli sotto scacco con la minaccia dell’ “a casa io, a casa tutti”. Prima il sindaco era eletto dal Consiglio e poteva essere cambiato senza ricorrere alle elezioni anticipate: il che accadde a Como sia al socialista Sergio Simone, sia al democristiano Felice Bernasconi. Sul piatto vanno poi messe le leggi Bassanini sulla riforma della pubblica amministrazione che hanno svuotato i consigli comunali di molte competenze e reso un po’ più frustante l’attività degli eletti.

Insomma, sono molti i contesti in cui è maturata la sortita comasca dell’altra notte sulla stazione appaltante. Più che una crisi l’inizio di un regolamento di conti i cui esiti sfuggono però al pronostico, soprattutto per l’imprevedibilità del carattere di Landriscina, che non è un politico neppure, ci passi il termine “semi professionista” ,come poteva essere etichettato il suo predecessore. Da evitare tutti i costi il brutto film già visto troppe volte a palazzo Cernezzi della lunga paralisi amministrativa. Perché fuori c’è una città che, in alcuni casi si muove anche troppo in fretta e ha bisogno di una guida con un motore più che efficiente.

@angelini_f

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