Como, perché consentire
la trasferta ai violenti?

Chi di calcio e di tifo se ne intende spiega che i disordini di domenica pomeriggio sono dovuti alla precisa volontà degli ultras del Como di vendicarsi di un’imboscata patita all’andata, quando un cancello dello stadio di Varese lasciato aperto da mani ignote consentì a un’orda di ultras biancorossi di accanirsi su un gruppetto di lariani in forte inferiorità numerica. Un’infamata, per dirla in gergo.

Il retroscena, per così dire, nulla toglie allo sconcerto per gli episodi di guerriglia urbana che domenica hanno animato il lungolago, mentre aggiunge ulteriori interrogativi ai tanti che già affollano la mente del comasco medio. La domanda è: possibile che questura e prefettura non sapessero che gli ultras del Como stavano meditando e organizzando ormai da mesi la vendetta?

La risposta è no, non è possibile, come sembra dimostrare il fatto che il derby delle città prealpine era stato classificato dal famoso “Osservatorio sul tifo” al livello 5 di allerta, cioè il massimo della pericolosità. Quindi sorge spontaneo un altro interrogativo: perché la commissione romana non ha vietato la trasferta ai tifosi varesini, come fa sistematicamente con quelli del Napoli quando gioca a Torino contro la Juve e viceversa?

Tra le domande più grandi di noi, quella relativa ai costi della trasferta dei trecento varesini in terra lariana. Facendo i cosiddetti conti della serva, i tifosi biancorossi hanno fruttato alla società Calcio Como circa tremila euro, gli altri 1559 spettatori paganti accorsi ieri al glorioso Sinigaglia ulteriori 17.658 euro. Dai ricavi del Como vanno sottratti 2500 euro di multa inflitta ieri dal giudice sportivo, il costo del noleggio degli autobus per trasferire i varesini da Grandate a Como e quello girato al Comune per il personale che ha collocato transenne e dissuasori nella zona dello stadio. Almeno 160 invece i poliziotti e i carabinieri chiamati agli straordinari domenicali, con ampio spiegamento di auto, pullman, mezzi anche blindati e relativo carburante. Aggiungiamo il lavoro preventivo svolto in questura in settimana, i giorni di malattia per gli agenti contusi, l’utilizzo della polizia locale, i parcometri rimasti inoperosi, il lungolago reso impraticabile a turisti e residenti, i danni alle auto prese a calci e a quelle colpite in parcheggio da una bomba-carta, i lavori di pulizia delle strade dopo i disordini e tanto altro, compreso il pomeriggio molto “sui generis” vissuto da migliaia di abitanti della zona.

A questo punto la domanda diventa: ma ne valeva davvero la pena? Considerato che la libertà costituzionalmente garantita alle frange più scriteriate e violente dei tifosi di Como e Varese non è quella di impadronirsi di un quartiere per inscenare war games della domenica, penseremmo di no.

Ultima domanda: l’anno prossimo ci risparmiate lo spettacolo?

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