Como, storie di preti
scomodi e simpatici

Che scherzo da prete. Forse avrebbe detto proprio così don Renzo Scapolo con la sua faccia sorridente e sincera nel commentare la coincidenza della sua dipartita proprio nel giorno in cui a Como si presenta il libro su Padre Giuseppe Ambrosoli e le cronache raccontano dell’appello di don Giusto, il parroco che ha fatto di Rebbio il primo fronte dell’accoglienza ai migranti.

Tre preti. E c’è chi farebbe gli scongiuri. Ma avercene di preti così. Le loro storie dicono tanto della bellezza della Chiesa e dell’intera umanità che sa far spuntare fiori così preziosi anche nell’aridità dei tempi moderni e dell’indifferenza dei nostri giorni. Precedenza a don Renzo Scapolo che nei suoi 79 anni ha percorso le strade dei poveri e dei perseguitati. Assistente, vicario, parroco, anni come missionario in Argentina la terra che il cardinal Bergoglio diventando Papa Francesco definì «quasi ai confini del mondo». E poi il ritorno nel Comasco al confine con la Svizzera, a Caversaccio di Valmorea a fare il parroco. Qui negli anni Ottanta l’emergenza dei primi profughi, i libanesi che fuggivano da un paese in guerra dove c’erano attentati con le autobombe. Quei fratelli ripercorrevano i sentieri degli ebrei durante la Seconda guerra mondiale e cercavano rifugio al di là della frontiera.

Don Renzo li accoglienza in casa, nella sacrestia e in chiesa. La parrocchiale era diventata un campo profughi con il portone spalancato. «Le ante - disse - le lego ai muri così restano sempre aperte». Davanti al flusso di profughi l’idea di trasformare la chiesa in un dormitorio accostando le panche dove siedono i fedeli a messa e collocando materassi sopra.

Nonostante avesse da accudire anche l’anziana madre malata, Bambina, don Renzo si prodigava per portarli di là questi uomini in fuga. Finchè una notte le guardie svizzere lo sorprendono e lo arrestano per immigrazione clandestina. Dovette intervenire il vescovo Maggiolini per farlo liberare. E poi la guerra nei Balcani, Sarajevo martoriata e lui che fonda “Sprofondo” e con tanti volontari comaschi va e porta speranza e l’anelito di pace. Uno di loro, anni dopo, troverà la morte su un ponte colpito dai cecchini: Gabriele Moreno Locatelli di Canzo. Un romanzo la vita di don Renzo. Omonimo di un altro prete, don Renzo Beretta, che nella parrocchia di confine a Ponte Chiasso, accoglieva gli immigrati nordafricani, finché uno di loro per l’arrabbiatura di un banale rifiuto di soldi lo accoltellò uccidendolo.

Preti scomodi. Figli e fratelli di una comunità che solo una falsa diceria classifica fredda e distaccata. Quanta generosità, invece. Quanto concreto prodigarsi per il prossimo. Come don Giusto che, dopo anni in Africa, ha fatto di Rebbio la porta per chi arriva. Un luogo reso accogliente dalla sua visione e dall’opera di tanti volontari laici che si impegnano in silenzio. Ma ora quelli che bussano sono troppi e don Giusto chiede alla città, dal Comune alla società, di fare di più. Di fare più spazio fisico e nei cuori.

Quanti preti. Nella vita di ciascuno c’è un volto che si ricorda. Oggi si fa memoria anche di padre Giuseppe Ambrosoli che lasciò la prospettiva di una vita agiata per farsi medico e prete per potersi dedicare ai poveri e malati dell’Africa sulla scia di san Daniele Comboni. A proposito: la casa dei Comboniani è proprio a Rebbio, il quartiere e la parrocchia di don Giusto, la nuova frontiera.

Quanti fiori nel giardino della Chiesa. Qui domina la figura di don Luigi Guanella. Da questi paesi e da questo lago sono partiti centinaia di preti e di suore e di missionari laici per portare speranza ai fratelli lontani. Però, non è che per essere santi bisogna per forza andare in missione. A volte si fa più fatica qui.

Nelle nostre periferie - guarda caso il tema di quest’anno de “Le Primavere de La Provincia” - si rischia di incontrare ancora più bisogno che altrove. Un detto spiega la devozione e l’anticlericalismo che convivono in Spagna affermando che lì tutti inseguono un prete, la metà per pregarlo, l’altra metà per picchiarlo. Da noi prevale l’indifferenza. Si pensa di poterne fare a meno, di essere autosufficienti, “adulti” si dice. Eppure molti dei problemi della gioventù moderna derivano dal ridimensionamento degli oratori. Che pure restano una realtà importante, fondamentale se si considera che nella nostra diocesi sono decine di migliaia i ragazzi accolti negli oratori e nei Grest estivi, oltre mezzo milione in Lombardia.

Figure esemplari per intere generazioni come don Lorenzo Milani e don Primo Mazzolari. Sono uomini, però. Non è che son tutti eroi. Un don Matteo fa tante serie di successo ma in tv. Nella realtà sono suggestive certe immagini che ricordano la poesia delle tonache nere e volanti immortalate da Cartier-Bresson. Poi c’è la prosa di tutti i giorni, delle parrocchie da mandare avanti, dei bisogni vecchi e nuovi a cui dare la risposta di chi ama il prossimo come se stesso, di chi dà la vita per gli amici. Incomprensibili oggi questi preti scomodi e simpatici se non si volge lo sguardo al cielo Azzurro e - versi di Paolo Conte - ai pensieri di quando si era all’oratorio, nelle domeniche da soli ad annoiarsi senza neanche un prete per chiacchierar.

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