Due anni fa Annone
Una tragedia italiana

C’erano ancora i soccorritori sul posto a salvare vite umane, quella notte di due anni fa, e già cominciava lo scarico delle responsabilità sulla tragedia del ponte di Annone precipitato sulla SS 36. Su chi doveva chiudere la superstrada e non l’aveva fatto. Su chi aveva sottovalutato l’allarme del pomeriggio. Su chi aveva concesso o meno l’autorizzazione all’azienda di Bergamo per far passare quel carico eccezionale sul cavalcavia.

Già in quelle ore l’espressione “carico eccezionale” ci sembrava un’insopportabile barzelletta, visto che nella Brianza motore d’Europa di mezzi pesanti così ne passano decine ogni giorno. Da decine di anni. E che dunque l’assurda eccezionalità era casomai che un cavalcavia implodesse. E invece non avremmo mai immaginato di dover definire la tragedia di Annone come “la madre di tutti i ponti crollati”, simbolo di un Paese dalle tante chiacchiere e dalle poche manutenzioni dove strade e viadotti si sbriciolano l’uno dopo l’altro.

Da Annone a Genova, una serie di crolli che a metterli in fila c’è da non crederci. Vittime da piangere. Vite distrutte per sempre anche se sei sopravvissuto, perché da choc così non ti liberi più. Danni incalcolabili all’economia di un Paese come bombardato. Qui da noi, un ponte crollato come fosse di cartapesta su una delle strade più trafficate d’Italia. In riva al Mar Ligure, addirittura un’Apocalisse sulla via delle vacanze.

E intanto altri ponti, quelli chiusi all’improvviso. Prima Civate, e chissà quando verrà ricostruito. Poi, e qui siamo davvero nella farsa miracolosamente non finita in tragedia, quello di Paderno d’Adda. Chiuso all’improvviso, alle dieci di sera, per effettuare lavori previsti da due anni. Ma, attenzione, chiuso proprio a tutti, biciclette e pedoni compresi. Che è come dire che quel capolavoro di ingegneria ottocentesca era su appeso a un filo, capace ormai di reggere solo il proprio peso. Quando sino a poche ore prima ci passavano auto e treni interi carichi di passeggeri e merci. Ma vi rendete conto? Roba da sperare solo che il vento non soffi troppo forte.

“Non scorderò mai il rumore della strada che si sbriciola e ci inghiotte. L’odore dell’asfalto e della polvere. Le grida di dolore di mia moglie. Gli occhi terrorizzati di mia figlia, una paura muta che ancora oggi riesco a scorgere sul suo viso”, ha raccontato ai giornalisti uno dei sopravvissuti di Annone. Perché non c’è solo Claudio Bertini morto sotto quell’ammasso di ferro e cemento. Non c’è solo la famiglia che l’ha perso. Ci sono feriti per cui la vita non sarà più come prima, costretti a subire interventi pesanti, vittime di dolori continui. Loro, prima di tutti, aspettano risposte. Non hanno ancora avuto risarcimenti, perché l’inchiesta è in corso. Non pare abbiano ricevuto neppure sostegno morale dalle istituzioni, in questi due anni. Vergogna che si aggiunge a vergogna. Provincia di Lecco, Provincia di Bergamo, Anas, azienda proprietaria del Tir. Aspettiamo, sempre fiduciosi, che la magistratura stabilisca chi sono i colpevoli. Ma tra processi, appelli e controappelli, perizie e controperizie, di tempo ne passerà parecchio.

Due anni dopo, il nuovo ponte ancora non c’è. Ad Annone si passa accanto al cantiere per la ricostruzione, che a lungo era sembrato semideserto. Anas promette che il manufatto d’acciaio sarà pronto in primavera, che il grosso dei lavori preparatori è stato fatto e che sistemare poi la campata a scavalco sulla superstrada Milano-Valtellina sarà affare rapido. Terremo gli occhi bene aperti.

Almeno, a Genova hanno smesso di raccontare la barzelletta del nuovo ponte Morandi pronto in pochi mesi.

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